Mauro Montacchiesi

Omaggio a Lucrezia Borgia

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Il presente saggio breve, portato di ricerca documentale, è contraddistinto da una connotazione dolosamente iconoclasta nei confronti della storiografia tradizionale, poiché l'autore, unilateralmente, considera tale storiografia strumentalizzata "ad usum delphini"e non sempre corrispondente alla pura verità.

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Lucrezia Borgia

Lucrezia Borgia, figlia del Cardinale spagnolo, Arcivescovo di Valencia, Roderic de Borja i Borja (futuro Alessandro VI, 214° Papa del Cattolicesimo, dal 1492 al 1503, anno dell sua morte) e di Vannozza Giovanna Cattanei (Vannoza de Cathaneis, Contessa di Casa Candia, di origine mantovana, di cui Lucrezia aveva ereditato capelli chiari ed occhi verde-azzurri), sorella di Cesare e Giovanni (più grandi di lei) e di Goffredo (più piccolo di lei), nacque nella Rocca dei Borgia, a Subiaco (RM), il 18 aprile 1480 (quindi dodici anni prima che il padre divenisse Papa) e morì a Ferrara, il 24 giugno 1519. La bambina Lucrezia passò i suoi primi anni nel palazzo donato da Rodrigo a Vannozza, in Piazza Pizzo di Merlo. Rodrigo nutrì un sentimento particolarmente viscerale per Lucrezia, sin dalla nascita di questa. Successivamente, Lucrezia fu affidata alla vedova dell'aristocratico Ludovico Orsini, Adriana de Mila (*)...

(*) Madre di Orsino, Conte di Nola che, sedicenne, sposò la quindicenne Giulia Farnese.

...I rapporti tra Vannozza e Lucrezia divennero sempre più sporadici. In virtù di magistrali ed eccelsi pedagoghi, tra i quali pure il preclaro Carlo Canale (ultimo dei quattro mariti di Vannozza, mantovano, erudito classicista, dottissimo nelle Lettere e nella Poesia, a lungo camerlengo <dal germ. kamarling, propr. 'addetto alla camera del re'> del Cardinale Francesco Gonzaga), il quale la introdusse alle Scienze Umanistiche, Lucrezia acquisì una vasta, profonda ed eccellente istruzione, soprattutto in greco, latino, musica, canto, ricamo, lingua spagnola. In convento, a San Sisto, apprese dottrine ed esercizi religiosi. Femmina di mesmerizzante venustà, come tuttora la propone la sua icona storiografica, Lucrezia, obtorto collo, fu sovente centripetata dalle cospirazioni degli italici, regali palazzi, ordite con l'intelligenza della propria, scellerata famiglia e, esattamente, del suo dissoluto padre e del suo subdolo fratello Cesare Borgia. Lucrezia fu venerata e stimata come sublime, rinascimentale nobildonna di Corte ed acquisì grandi considerazione e credito come sagace diplomatica e versata politica. Il libidinoso padre Rodrigo ed il sanguinario fratello Cesare, coattivamente e motu proprio, pianificarono per lei svariate nozze con diversi ottimati del tempo, al fine di catalizzare la reificazione dei propri, egoistici, utilitaristici progetti politici. Lucrezia, in virtù delle proprie avvenenza e perspicacia, alla Corte Estense di Alfonso I, suo terzo marito, divenne oggetto di diffusa, celebrata e popolare latria. Alfonso I, dovendosi sovente allontanare dall'Estense Aula di Ferrara, le delegò assoluti, vicari poteri politico-amministrativi sul Ducato, tanta era la fiducia che in lei riponeva. L'entourage di Corte e la gente comune nutrirono una grande e sincera dilezione per Lucrezia! Presso la sua Estense Corte, Lucrezia invitò i più preclari Personaggi, Artisti e Letterati rinascimentali, tra cui l'Ariosto ed il Bembo. Una nefasta sequela di terribili sventure si abbattè sulla genealogia estense e su Lucrezia stessa, sicchè ella decise, a partire dal 1512, di autotorturarsi, indossando il ruvido, penitenziale e pungente cilicio. Aderì al Terzo Ordine Francescano, agli adepti di Santa Caterina e di San Bernandino da Siena e, infine, per portare assistenza ai più indigenti, istituì, a Ferrara, il Monte di Pietà. Appena trentanovenne, era il 1519, Lucrezia morì, durante una gravidanza, in prossimità del parto.

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La fanciullezza di Lucrezia nella Romana Reggia del "Monarca" Alessandro VI

Il debutto in società di Lucrezia avvenne il 17 dicembre 1487, in occasione di una kermesse dedicata a Maddalena de' Medici (*)...,

(*) Maddalena di Lorenzo de' Medici, figlia di Lorenzo il Magnifico e di Clarice Orsini. Educata alla cultura umanistica, ebbe, tra i suoi pedagoghi, Agnolo Poliziano.

..., di cui, nella circostanza, veniva ufficializzato il matrimonio con il figlio di Papa Innocenzo VIII. Tra Lucrezia e Maddalena proruppe, spontanea, una profonda, affettuosissima amicizia e Maddalena, per Lucrezia, significò un imprescindibile ubi consistam di monolitica pertinacia e di ineffabile ardimento.

Oltre a quello con Maddalena, Lucrezia consolidò un altro intimo, importante sodalizio: quello con Giulia Farnese (*)...

(*) Donna di immenso glamour, venne denominata, dai suoi coevi: Giulia la Bella. La strada verso il potere e la ricchezza, sia per lei sia per la sua Famiglia, fu spianata, de facto, dalla sua travolgente avvenenza, costituendo, così, l'incipit del tortuoso destino dei Farnese. Giulia venne istruita conformemente al sublime livello del suo ceto: lingue, danza, musica, cultura generale, bon ton, e tutto quel protocollo d'uopo nella temperie aristocratica del tempo.

...Appena undicenne, l'inconsapevole bambina Lucrezia, all'epoca strumento mansueto e privo di volontà, già innocente, itinerante merce di scambio per i loschi affari del mondano e venale padre Rodrigo, fu promessa in matrimonio al giovane Don Cherubino Juan de Centelles, Signore e Feudatario di Val d'Ayora, nel Regno di Valencia, che nelle intenzioni del nepotistico e simoniaco Cardinale Borgia avrebbe dovuto rinnovare gli antichi rapporti con la sua terra natale. Il 26 febbraio 1491 fu redatto il contratto nuziale, ad opera del fidato notaio della Famiglia Borgia, Camillo Beneimbene. Il contratto contemplava una dote di 30.000 timbres, ripartiti tra denaro e gioielli, dote d'uopo allogata alla nubenda da parte dei Borgia. Ma già nel successivo aprile, il talora criptico Rodrigo formalizzò, per procura e senza avere annullato i precedenti patti, diverse intese matrimoniali, sempre con un valenzano: il quindicenne Gaspare d'Aversa, Conte di Procida, nel Regno di Napoli, ma all'epoca anch'egli residente a Valencia, dove la sposa avrebbe dovuto raggiungerlo. La promessa ad un nobile napoletano fu imposta, verosimilmente, da ragioni politiche, vincolate alla ritrovata intesa del Papa Innocenzo VIII con il Re di Napoli Ferdinando I (alias: Ferrante) d'Aragona nella primavera del 1492. Appena divenuto Papa Alessandro VI, il depravato e voltagabbana Rodrigo, motu proprio, annullò i due contratti, offrendo lauti compensi. Don Cherubino accettò l'annullamento e ricevette, in cambio, il protonotariato e l'amministrazione della Tesoreria di Perugia. Molto più complicata fu la vertenza con i D'Aversa. Protetto dal Re di Spagna, Gaspare giunse fino a Roma, onde poter rivendicare i propri diritti, ma, realizzando che le forze in campo erano ingentemente sproporzionate a suo danno, abdicò al progetto, accettando denaro in cospicua quantità. Con l'ascesa del valenzano Rodrigo al Papato, il futuro coniugale di Lucrezia fu suscettibile di una dirompente, devastante metamorfosi. Il giurisperito Papa Borgia non si accontentava più di semplici nobilucci spagnoli, bensì puntava ad allogare la vilipesa ed usurpata Lucrezia presso una potente famiglia italiana, onde poter ordire fitte, vigorose e tetragone coalizioni politiche. Il Cardinale Ascanio Sforza ventilò, per "l'oggetto" Lucrezia, il proprio, ventisettenne nipote Giovanni Sforza, Duca di Pesaro, ovvero feudatario già nella sfera di influenza dello scandaloso Papa. In virtù di questo matrimonio, tra l'erotomane, orgiastico Papa Borgia e la Famiglia Sforza, si sarebbe creata un'intesa politica, ovvero una potente coalizione, in antitesi alla potenza di Carlo VIII ed a detrimento degli interessi del Regno di Napoli.

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Giovanni Sforza

Il notaio Nicolò da Saiano, il 2 febbraio 1493, per procura, sposò la piccola, immatura Lucrezia, per conto di Giovanni Sforza (figlio naturale del condottiero e Signore di Pesaro Costanzo I e vedovo di Maddalena Gonzaga), mettendo così a tacere i boatos che davano la fanciulla per imminente consorte dell'iberico Conte Prada, con conseguente trasferimento in Spagna. Il simoniaco Papa Borgia, con utilitaristica munificenza, regalò alla figlia il prestigioso Palazzo di Santa Maria in Portico, nell'area sinistra dell'attuale colonnato barocco di Gian Lorenzo Bernini, all'epoca ancora inesistente. Il Palazzo era residenza di, ovvero era diretto e gestito dal deus ex-machina Adriana Mila Orsini, mentre Giulia Farnese svolgeva il ruolo di dama di compagnia e Pantasilea quello di governante. In tempi brevi, brevissimi, il nobile Palazzo di Santa Maria in Portico si trasformò in milieu della mondanità romana, al quale ebbero adito esponenti dell'Aristocrazia, Nobildame, parenti, amici, etc. Era il 2 giugno 1493 quando il pesarese Giovanni Sforza arrivò nell'Urbe e, lo stesso giorno, i nubendi si conobbero di persona. Nell'Appartamento Borgia (l’ala più riservata del Palazzo, voluta da Alessandro VI, decorata da Bernardino di Betto detto il Pinturicchio), il successivo 12 giugno, il matrimonio ebbe luogo. La delicata leggiadria della piccola Lucrezia fu così riportata: «Porta la persona così soavemente che par non si mova». Alcuni cardinali presenziarono e certificarono il "si" ai quesiti di prassi posti dal notaio Beneimbene. Terminato il ricco simposio del sontuoso imeneo, la fragile ed intonsa Lucrezia fu accompagnata nell'alcova sponsale, guardata a vista da Adriana Mila, dal dissoluto Papa Borgia, dal Cardinale Ascanio Sforza e dal consorte Giovanni. Si narra che il coito non ebbe luogo in quel momento, a cagione, verosimilmente, dell'immaturità fisica di Lucrezia e Giovanni Sforza si allontanò dalla novella sposa già pochi giorni dopo. Verso la metà di agosto Roma fu flagellata da una perniciosa pestilenza ed a Giovanni non parve vero trovare un appiglio migliore per tornarsene nella sua amata, per lui più consona Pesaro. Tempo dopo Giovanni Sforza bussò alle casse del libertino Papa-suocero e questì gli elargì 5.000 ducati, somma d'uopo per solvere le esposizioni di Giovanni. Ma il volubile Rodrigo andò oltre, vale a dire che incrementò la dote della figlia di 30.000 ducati, con la pregiudiziale che Giovanni, inderogabilmente, concretizzasse il coito. Il 15 settembre 1493 il fedifrago e cinico Papa Borgia scrisse: "Stipuliamo che tu venga presso di noi per la piena consumazione del matrimonio con detta tua moglie". Intanto, per l'adolescente Lucrezia, ormai anche Contessa di Pesaro, la situazione era pressoché identica, a prescindere dalla posizione sociale. Infatti, il matrimonio le aveva conferito una più topica rilevanza in senso lato. Lucrezia spendeva il proprio tempo consacrandosi ai diletti della musica e ad altre attività ludiche e cominciò ad essere destinataria di ossequi, deferenze ed istanze. Giovanni Sforza, a ridosso delle festività natalizie, fece ritorno nella Città Eterna per celebrare le ricorrenze cristiane con la giovanissima consorte Lucrezia. Tuttavia, poco tempo dopo, fece ancora ritorno nel suo Ducato di Pesaro, portando seco la moglie, la quale, nondimeno, sarebbe dovuta inderogabilmente tornare pochi mesi dopo, per indiscutibile volontà del padre. Al loro seguito furono assegnate le ormai "alter ego" Adriana Mila e Giulia Farnese, con funzioni di compagnia e di controllo. L'Aristocrazia pesarese fu particolarmente affabile verso la piccola Lucrezia. Poco tempo dopo, comunque, Adriano VI non ebbe più necessità dell'alleanza con la Famiglia Sforza. Il panorama politico aveva subito una profonda metamorfosi e, di conseguenza, tutta la rete dei connubi politici. La Santa Sede, in virtù dell'imeneo tra Goffredo Borgia e Sancha d'Aragona, aveva creato un sodalizio con i Reali di Napoli, sostenendoli contro il francese Carlo VIII, sostenuto, a sua volta, dagli Sforza di Milano. Giovanni Sforza, presso la camaleontesca Corte Pontificia, fu quindi visto come entità indecifrabile, superflua e pericolosa, anche perché, nei suoi intimi progetti, c'era quello di portare l'amatissima Lucrezia con sé. Subito dopo Sancha d'Aragona e Lucrezia diventarono serratissime amiche.

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Il matrimonio con Giovanni Sforza viene invalidato

Giovanni, il giorno di Pasqua, 26 marzo 1497, rapidamente si allontanò da Roma alla volta di Pesaro. Questo rapido allontanamento, di cui Rodrigo e prole dissimularono sbigottimento, in realtà allietò la corte papale e, decisamente, Lucrezia, satura ormai di Giovanni, dal quale si sentiva ignorata. Rodrigo e figli erano decisi ad eliminare fisicamente Giovanni, ma Lucrezia non volle essere complice di questo omicidio ed informò segretamente il marito, dandogli così modo di fuggire. Lucrezia era contraria all'astioso antagonismo dei fratelli Cesare e Giovanni che, conoscendoli, sarebbe sfociato nell'assassinio. La repentina ritirata dello Sforza permise ad Alessandro VI ed al futuro Valentino di combinare un nuovo sposalizio molto proficuo, ufficialmente per Lucrezia, ma in realtà per loro. Tuttavia, per poter realizzare questo connubio, i Borgia avrebbero dovuto prima infirmare il precedente. Il fatuo Papa sollecitò il Cardinale Ascanio Sforza, zio di Giovanni, a convincere questi a non opporsi al divorzio. Ma tale istanza apostolica sembrò ingiuriosa a Giovanni, che la ricusò. Per Rodrigo il divorzio era un'istanza politicamente inderogabile, per cui tacciò Giovanni di "impotentia coeundi" e, quindi, di non aver consumato il matrimonio ed organizzò un processo per annullarlo. Giovanni, per contro, presso la Corte del cugino Ludovico il Moro, tacciò Rodrigo di aver sottoposto la figlia Lucrezia a stupro, ma Ludovico, ignorando questo particolare, propose a Giovanni di consumare l'atto carnale con Lucrezia al cospetto di testimoni. Giovanni rifiutò e gli Sforza di Milano gli ritirarono il proprio sostegno. Giovanni Sforza, politicamente isolato, firmò davanti a testimoni una dichiarazione di impotenza ed il matrimonio fu invalidato.

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Lo sfortunato e tragico amore per Perotto

Nella fase attiva del complesso ed insidioso processo di annullamento, onde evitare la vergogna scaturita dalla sua sfortunata storia coniugale, Lucrezia trovò ostello presso il Convento di San Sisto (Centro Storico di Roma), ove le fu data notizia della morte di Giovanni, uno dei suoi fratelli. La clausura conventuale implicò che il dialogo tra Rodrigo e l'inerme Lucrezia avvenisse tramite terze persone, selezionate da Rodrigo stesso. Tra queste terze persone ci fu il giovane Pedro Calderon, alias Perotto. L'assidua frequentazione tra Lucrezia e Perotto, ovvero tra due ardenti giovani, sfociò in un grande amore. Il vero, grande amore per l'indifesa Lucrezia, che restò ben presto incinta. Grazie alla fantesca di fiducia, Pantasilea, Lucrezia, sotto ampie vesti, ebbe modo di occultare la propria gravidanza. In questa condizione Lucrezia presenziò alle sedute del Tribunale Ecclesiastico. Atterrita, Lucrezia non negò nulla di quanto Rodrigo le aveva precedentemente, coattivamente imposto di firmare. I giudici canonici, pienamente appagati dalle dichiarazioni estorte a Lucrezia, non ritennero neanche opportuno e necessario farla visitare dalle matrone. Fu così che Lucrezia venne dichiarata "virgo intacta". Lucrezia ringraziò e salutò in latino, come disse l'ambasciatore di Milano, Stefano Taverna: "Con tanta gentilezza che se fosse stata un Tullio non avrebbe potuto dire più argutamente e con maggiore grazia". Per quel che concerne Perotto, questi era divenuto particolarmente "ingombrante" per i Borgia. L'ambasciatore di Venezia narrò che il Valentino aveva inseguito Perotto per ucciderlo. L'equivoco Papa tentò di difendere il giovane, ma il sangue di quest'ultimo cosparse il volto del Pontefice. Lucrezia partorì a marzo.

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Alfonso d'Aragona

Alfonso d'Aragona, Duca di Bisceglie, figlio del Re Alfonso II di Napoli e di Trogia Gazzella. Allorché Lucrezia fece ritorno a Palazzo, i negoziati per le sue seconde nozze erano ormai terminati. Lucrezia sarebbe stata impalmata da Alfonso d'Aragona, erede al trono di Napoli, fratello di Sancha, moglie di Goffredo Borgia. La dote di Lucrezia fu stabilita in misura di 40.000 ducati d'oro. Le cerimonia nuziale, pianificata e gestita dallo scandaloso Rodrigo e dall'ambiguo Cesare, avrebbe corroborato l'alleanza tra il Papato ed il Regno Napoletano, alleanza che sarebbe dovuta sorgere con l'imminente matrimonio tra Cesare e Carlotta d'Aragona, figlia di Re Federico I di Napoli. Queste nozze, squallida mercificazione del matrimonio tra Alfonso e Lucrezia, non ebbero mai luogo e Cesare Borgia ne ascrisse la responsabilità, mai perdonata, al cognato Alfonso. Il 21 luglio 1498, nell'Appartamento Borgia, alla presenza di una ristretta cerchia, ebbe luogo la cerimonia nuziale tra Alfonso e Lucrezia. Una seconda cerimonia fu celebrata il 5 agosto 1498. La diciottenne Lucrezia sentì immediatamente palpitare, profondamente vibrare il suo cuore per Alfonso, di cui, la di lui sorella Sancha, le aveva sovente narrato. Era opinione diffusa su Alfonso: "L'adolescente più bello che si sia mai visto a Roma". Per qualche tempo Alfonso e Lucrezia condussero una vita di puro amore e di intensa armonia e sublimarono la propria corte ospitando teste coronate, alti prelati, poeti, scrittori ed artisti vari. In virtù della figura di Alfonso e con gli auspici dei Duchi di Bisceglie, venne creato un, seppur esiguo, partito aragonese che si valse, successivamente, ad inficiare l'icona socio-politica di Cesare Borgia che, ovviamente, non gradì. Lucrezia aborriva la politica, nondimeno, vivendo in una temperie di potere, aveva ben appreso come gestire i propri interessi. A cagione di una caduta, il 9 febbraio 1499, Lucrezia patì un aborto. Questo infausto evento non demoralizzò la coppia, ed infatti, un paio di mesi dopo, Lucrezia era nuovamente in dolce attesa. Il 12 maggio 1499 Cesare Borgia sposò Carlotta d'Albret, nipote del Re di Francia, ottenendo il titolo di Duca del Valentinois, da cui "Duca di Valentino". Questa notizia rese felice Lucrezia, ma non Alfonso e la sorella Sancha, i quali compresero che il quadro politico dei Borgia aveva subito un altro, destabilizzante scossone a loro sfavore. Per approdare a questo matrimonio, infatti, Cesare Borgia era stato costretto a sostenere militarmente e politicamente Luigi XII di Francia, nel progetto di riconquista di Milano e del Regno di Napoli. Rodrigo tentò di sedare la lievitante preoccupazione di Alfonso, il quale, nondimeno, il 2 agosto 1499, optò per una fuga clandestina, trovando asilo a Genazzano (nei pressi di Roma), feudo dei Colonna, alleati del Regno di Napoli. Fu così che Lucrezia, incinta di sei mesi, fu abbandonata, sola ed in preda allo sconforto. Papa Rodrigo, violentemente contrariato dalla fuga di Alfonso, bandì Sancha dall'Urbe e pose sotto controllo militare il Palazzo di Santa Maria in Portico. Gli era, infatti, giunta notizia che Alfonso, da Genazzano, si stava adoperando per farsi raggiungere dalla moglie. Da Genazzano, infatti, Alfonso scrisse alla moglie affinché lo raggiungesse. La lettera, tuttavia, venne intercettata e consegnata al Papa. Per impedire il ricongiungimento tra Lucrezia ed Alfonso e tra Goffredo e Sancha, Rodrigo decise di spedire i figli a Spoleto, affidando a Lucrezia il governo della città. Allogando Lucrezia e Goffredo nella città di Spoleto, importante baluardo difensivo a settentrione dell'Urbe, Alessandro VI ufficializzò la propria adesione alla politica francese. Lucrezia e Goffredo, antecedentemente e machiavellicamente "coniugati" al Regno di Napoli per volontà dello scaltro Cesare, vennero obbligati, ancor per strategia di Cesare, ad abiurare Napoli ed a difendere Spoleto, in caso di attacco di truppe napoletane di transito verso il Ducato di Milano, attaccato dalle truppe del Re di Francia, Luigi XII, e di Cesare Borgia. Lucrezia e Goffredo, a Spoleto, furono benevolmente accolti. Goffredo si dedicò a piaceri ludici, mentre Lucrezia, molto responsabilmente, si dedicò alla sua attività di governo. Lucrezia, con i fondi della municipalità, allestì un corpo di marescialli, adibito alla preservazione dell'ordine urbano. Lucrezia, altresì, da un giudice ordinario, fece istruire i processi privati e, ancora, ordinò una tregua tra Spoleto e Terni, in continuo, fratricida conflitto tra loro. Alessandro VI, intanto, al fine di tranquillizzare Alfonso, fece regalo, alla coppia, del castello, della città e del territorio di Nepi (Lazio) e fu così che Alfonso raggiunse Lucrezia. Il successivo 14 ottobre Lucrezia, Alfonso e Goffredo rientrarono a Roma. Diciassette giorni dopo, di notte, Lucrezia partorì un bambino, al quale venne poi dato il nome di Rodrigo d'Aragona. Alfonso, nella notte del 15 luglio 1500, fu assalito, sulla gradinata di Piazza San Pietro, da una masnada di uomini e, nonostante avesse tentato di reagire e nonostante l'intervento delle guardie, riportò delle pesanti ferite al capo, alle braccia, alle gambe. Pesantemente ferito, Alfonso venne condotto negli appartamenti soprastanti a quelli papali. Sancha e Lucrezia gli corsero in aiuto e poi lo curarono. Le due donne si avvicendarono al suo letto di dolore, non lasciandolo mai solo. Lucrezia e Sancha convocarono, da Napoli, alcuni medici per le cure del caso e provvidero loro stesse all'alimentazione, onde fugare il pericolo di avvelenamento. Da Papa Rodrigo si assicurarono una guardia composta da sedici elementi, finalizzata ad una costante ed ininterrotta vigilanza sul Duca di Bisceglie. La responsabilità di Cesare Borgia, quale mandante dell'aggressione, era evidente. Già precedentemente, nei giardini vaticani, Alfonso aveva tentato un'aggressione, a suon di balestra, contro l'aborrevole Valentino. Circa un mese dopo, il 18 agosto 1500, in virtù di un artificio, Lucrezia e Sancha furono separate dall'inerme degente, che venne biecamente strozzato da Michelotto Corella, sordido boia al soldo dello spregiudicato ed efferato Cesare Borgia. "Dato che don Alfonso rifiutava di morire delle sue ferite, fu strangolato nel letto" (Bucardo di Strasburgo). La notizia dell'assassinio di Alfonso si diffuse immediatamente, anche oltre i confini del Papato e Cesare, interrogato in merito dal padre Rodrigo, addusse a motivo la volontà di Alfonso di uccidere lui che, così facendo, lo anticipò. Alla notizia del proditorio assassinio dell'amatissimo Alfonso, Lucrezia fu risucchiata dal cupo vortice del dolore e dello sconforto. Abbandonata, rimasta sola con l'altrettanto addolorata Sancha, Lucrezia fu aggredita da una violentissima febbre e per giorni, in preda al farneticamento, non assunse neanche cibo. Come scrisse l'ambasciatore di Venezia, Polo Capello: "Prima, era in grazia del Papa Madonna Lucrezia sua figlia quale è savia e liberale, ma adesso il Papa non l'ama tanto", vale a dire che il rapporto padre-figlia si era incrinato. Più tardi, il cadavere di Alfonso fu ritrovato nel Tevere, legato mani e piedi.

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Momenti cruciali nella vita di Lucrezia

Il 31 agosto 1500, Lucrezia, portando con sé l'infante Rodrigo, venne "spedita" a Nepi, ove indossar le gramaglie per la dipartita del dilettissimo Alfonso, ma, più concretamente, ove lasciar placare i risentimenti verso gli abietti consangunei Rodrigo e Cesare. Finito il periodo di lutto, Lucrezia rientrò nella Città Eterna, ove fu oggetto di una profferta di matrimonio del Duca di Gravina, profferta che Lucrezia ricusò. Rodrigo chiese spiegazioni per questo diniego e Lucrezia replicò coram populo: "Perché i miei mariti sono malcapitati". Molti erano i pretendenti alla mano di Lucrezia, il che stava a significare che l'alleanza con i Borgia era molto ambita. Lucrezia respinse anche il Conte di Ligny, Ottaviano, Colonna. Le sue resistenze, nondimeno, divenivano vieppiù deboli. A questo punto l'intelligente Lucrezia accettò quanto da tempo compreso, ovvero che era divenuto inderogabile abbandonare il milieu dell'Urbe, divenuto eccessivamente vessante ed insidioso. Era giunto il momento di trovare un uomo potente quanto, se non più di Rodrigo e del Valentino, ovvero un uomo le cui fortune ed il cui potere non dipendessero dai Borgia.

Maria Villavecchia Bellonci (*) così riporta:...

(*) Maria Villavecchia Bellonci, scrittrice italiana (1902-1986), creatrice del Premio Letterario Strega. Esordì in campo letterario con la biografia di Lucrezia Borgia, Mondadori Editore.

..."Ben conchiuso pareva alla sua mente solo il destino di una donna negli attributi di signora e di sposa, a capo di una corte, regnante; e pur non pensando a giudicare i suoi e quindi a condannarli, quei Borgia tutti del suo sangue e della sua razza, per la prima volta con la sua coscienza di donna accettava la necessità di abbandonarli."

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Il Grande Amore: Alfonso d'Este

Le fantasie di Lucrezia cominciarono a prendere forma in occasione dei primi negoziati per il suo ulteriore imeneo, questa volta con Alfonso d'Este, rampollo di Ercole, Duca di Ferrara. Promotore ne fu, ancora una volta, il faccendiere fratello Cesare e non certo per amore di Lucrezia, bensì per corroborare la propria autorità in Romagna. Questo ducal imeneo avrebbe consentito a Lucrezia l'ingresso in una delle genealogie più inclite della penisola. Lucrezia comprese che, diventare Duchessa di Ferrara, era più o meno il non plus ultra di quelle che potevano essere le sue aspirazioni. Un aiuto le giunse dall'appoggio di Luigi XII, Re di Francia, sostenitore e difensore di Ferrara, che "indossò gli abiti da paraninfo". Nello svolgimento dei primi negoziati sponsali, era il luglio del 1501, Papa Alessandro VI, con l'intenzione di palesare le grandi qualità della figlia Lucrezia e quindi con l'intenzione di enfatizzare i suoi requisiti per essere una magistrale Duchessa d'Este, le affidò responsabilità di governo, vale a dire che le delegò la gestione degli affari vaticani, mentre lui, il Papa, si tratteneva in Sermoneta (Lazio). Questo status quo, alquanto sui generis e paradossale per quei tempi, vale a dire una giovanissima donna che governava, seppur ad interim, lo Stato, non scandalizzò affatto gli ambienti vaticani. Il 26 agosto 1501, in Vaticano fu ufficializzato e redatto l'impegno e, il 1° settembre sucessivo, fu celebrato il matrimonio "ad verba praesente". Allorché la notizia si diffuse nell'Urbe, da Castel Sant'Angelo cominciarono a sentirsi festosi colpi di cannone. Lucrezia, che per la prima volta aveva avuto un ruolo abbastanza decisionale, si ritirò in preghiera nella Chiesa di Santa Maria del Popolo, volendo ringraziare la Vergine. Intorno al 15 dicembre, il Cardinale Ippolito d'Este, fratello di Alfonso, arrivò a Roma alla testa della guardia incaricata di scortare Lucrezia nel ducato estense. L'entourage della Corte Estense, nel momento della presentazione ufficiale, restò stupefatto e stregato dalla bellezza e dal fascino di Lucrezia. Quella stessa sera Ippolito d'Este inviò, in merito, una relazione alla Corte di Ferrara. Lucrezia contrasse matrimonio per procura. Era la sera del 30 dicembre 1501. L'ormai cognato, Cardinale Ippolito d'Este, fece a Lucrezia donativo dell'anello sponsale e di uno scrigno colmo di meravigliose gemme. Iniziarono così diversi giorni di festeggiamenti. Il 6 gennaio 1502 Lucrezia partì alla volta di Ferrara, mentre su Roma scendevano fragili fiocchi di insolita neve. Il corteo, dopo aver percorso l'Italia Centrale, il 30 gennaio arrivò a Castel Bolognese, dove Alfonso incontrò Lucrezia, che lo accolse con garbo e deferenza. Dopo un colloquio di un paio di ore, Alfonso, ammaliato da tanta bellezza, ripartì per anticipare il di lei ingresso in Ferrara. Lucrezia, a Torre di Fossa, conobbe il suocero, Duca Ercole, ed altri membri della Famiglia d'Este e dell'Aula di Ferrara. Il giorno della "Purificazione della Vergine", ovvero il 2 febbraio, Lucrezia, attesa da festosi ferraresi, fece il suo sontuoso ingresso in città. Al termine del fastoso ricevimento, Lucrezia si ritirò nei suoi appartamenti, immediatamente raggiunta dal marito Alfonso, bramoso di "consumare" e, a dir del cancelliere di Isabella, il coito fu tre volte consumato. I sontuosi festeggiamenti si protrassero per una settimana, dopo di che la vita di corte tornò a regimi ordinari. Lucrezia fece del suo meglio per conformarsi a questo, per lei, inusitato modus vivendi. Lucrezia apportò dei cambiamenti, a suo gusto, dei propri appartamenti, poi, per conoscere il Ducato, fece molte escursioni nel ferrarese e si recò in numerosi conventi come, ad esempio, il Monastero del Corpus Domini. Era primavera quando Lucrezia si scoprì incinta di Alfonso, che ogni notte dormiva al suo fianco. La gestazione fu, comunque, particolarmente complicata. Una pandemia si era diffusa in Ferrara e Lucrezia, quell'estate, ne fu contaminata. Presa da violenti spasmi, Lucrezia, il 5 settembre, mise al mondo una bambina morta. Lo scabroso momento fu rimosso e Lucrezia rimase positivamente colpita dal fatto che Alfonso, che si era politicamente assentato da Ferrara, si era affrettato a tornare da lei, in quanto preoccupato per la sua condizione psico-fisica. Per la debilitata Lucrezia, comunque, fu necessaria una convalescenza nel Monastero del Corpus Domini. Al suo ritorno a Ferrara, il popolo la accolse in un festoso tripudio. Ercole I d'Este era vedovo, per cui Lucrezia, seppur impropriamente, veniva già denominata "Duchessa" e, come tale, presenziava alle pubbliche rappresentazioni e celebrazioni di Stato. La grande dilezione che Lucrezia aveva per la Cultura, fece si che ella trasformasse l'Aula Estense in un preclaro cenacolo di uomini di Lettere. Un'attenzione eccezionale Lucrezia ebbe nei confronti del poeta e letterato ferrarese Ercole Strozzi, al quale offrì un mecenatismo ed un'amicizia senza pari. Ercole Strozzi le fece conoscere lo scrittore, grammatico, umanista e più tardi cardinale veneziano Pietro Bembo. Lucrezia rimase ammaliata dall'imponenza fisica ed intellettuale del Bembo e tra i due principiò un ameno diletto letterario, basato su rime e versi. Tra i due, qualche mese dopo, germinò un amore nobilmente platonico e Lucrezia, nel luglio del 1503, gli inviò la ciocca di capelli, poi divenuta famosa, che George Gordon, alias Lord Byron, magnificò come "i più belli e i più biondi che si possa immaginare". La peste aveva aggredito Ferrara e l'intera Corte aveva trovato riparo a Medelana, ove Lucrezia apprese della morte del padre Rodrigo, avvenuta il 18 agosto 1503. La sensibilissima Lucrezia, nonstanto quanto subito dall'empio padre per anni, rimase profondamente turbata e si mise in austere gramaglie.

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Lucrezia diventa ufficialmente Duchessa di Ferrara

Il 25 gennaio del 1505 Ercole d'Este spirò e Lucrezia diventò "Duchessa" a tutti gli effetti. Nel ruolo di Duchessa, la prima apparizione ufficiale di Lucrezia avvenne il successivo 23 febbraio, dal balcone del palazzo. La sua maestà ammaliò i propri sudditi. Lucrezia ed Alfonso ebbero una cospicua prole, vale a dire sei figli, ai quali Lucrezia consacrò la propria esistenza. Li abbigliò sobriamente e più volte asserì che voleva "vederli scoppiare dalle risate, abbandonarsi al divertimento senza costrizioni di nessun genere, lasciarsi andare a tutti i giochi adatti alla loro età". A Corte, Lucrezia ottenne ampi consensi sul piano personale, soprattutto in virtù del proprio mecenatismo artistico e conducendo un'esistenza sobria. Ludovico Ariosto ne esaltò le qualità in una stanza dell'<Orlando furioso> e nelle <Satire>. Nell'ultima fase della sua breve esistenza, Lucrezia fu colta da un'intensa e totale crisi mistica ed aderì ai Terziari Francescani, confessandosi e facendo la comunione ogni mattina e ritirandosi lungamente, ogni giorno, in solitaria preghiera.

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Riflessioni varie

Giovanni Sforza Duca di Pesaro, alla notizia che Adriano VI aveva richiesto l'annullamento del matrimonio con Lucrezia, calunniò quest'ultima di incesto con il padre e con i fratelli. Già, ma se conosceva questi fatti, perché aspettò la rottura con il Papato? Se tutto ciò fosse stato vero, come avrebbe potuto tollerare una tale situazione? La sua connivente ed interessata omertà, in questo caso, non sarebbe stata altrettanto "amorale"? Detrazioni analoghe furono diffuse da prezzolati poeti come Giovanni Pontano e Iacopo Sannazzaro, al soldo di Alfonso di Aragona, allorché anche questi vide fallire il proprio matrimonio o, meglio, le proprie alleanze politiche. Fonte attendibile, per quel che concerne il comportamento di Lucrezia presso la Corte Papale, è Bucardo di Strasburgo (vescovo cattolico tedesco, protonotario pontificio e maestro di cerimonie). Nel "Liber Notarum", sua dettagliatissima agenda storica, il Bucardo riferisce di tutte le licenziosità cui ha assistito presso la Corte del lascivo e lussurioso Papa Borgia. Il Bucardo non si lascia mai andare a considerazioni personali ed è, soprattutto per questo, considerato, dagli Storici contemporanei, di massima attendibilità. Ergo, se riportò fatti scabrosi inerenti Rodrigo, massima autorità, perché non narrò mai fatti scabrosi che avrebbero dovuto, ipoteticamente, coinvolgere Lucrezia? Alcuni anni dopo la scomparsa di Lucrezia, dai suoi sudditi ferraresi denominata " Pulcherrima Virgo", il Guicciardini, nella sua opera "Storia d'Italia", intessé un'articolata detrazione a scapito di Lucrezia. Nondimeno, nel '700, il parigino François-Marie Arouet, alias Voltaire (filosofo, scrittore, drammaturgo, poeta e, soprattutto: DEMIURGO ILLUMINISTA), pronunciò una veemente filippica-requisitoria contro il Guicciardini, tacciandolo di aver mistificato l'intera Europa, sulla scorta del personale, interessato e viscerale livore nei confronti degli avversari Borgia. La britannica Sarah Bradford, biografa di Lucrezia, afferma: " Generazioni di storici ne hanno travisato la biografia esaminandola nell'ottica dei crimini commessi dalla sua famiglia, a loro volta amplificati da cronisti contemporanei ostili. Nell'Ottocento tutti hanno concluso che Lucrezia in realtà era una giovane vittima inerme degli uomini della sua famiglia. In un mondo in cui i dadi erano pesantemente truccati in favore dei maschi, Lucrezia si destreggiava a seconda delle circostanze per forgiare il proprio destino". Lord Byron, uno dei massimi rappresentanti del Romanticismo britannico, rimase così ammaliato dall'icona storica di Lucrezia che, a Milano, successivamente alla disamina delle lettere d'amore scritte dalla donna, trafugò un capello dalla ciocca bionda che accompagnava le stesse lettere.

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Francesco Guicciardini, scrittore, storico e politico italiano dei primi decenni del '500.

 

Nota biografica

Francesco Guicciardini nacque a Firenze il 6 marzo 1483, da una delle famiglie più importanti, tra le più "utilitatis causa" asservite al potere de' Medici. La Famiglia Guicciardini, da sempre nell'entourage dei de' Medici, aveva da questi ottenuto onori, uffici e ricchezza. A Firenze, nel 1505, il Guicciardini esercitò fraudolentemente, non essendo ancora laureato, l'ufficio di istituzioni di diritto civile. Nel novembre 1508, in forte contrasto con il padre Piero, sposò Maria Salviati, rampolla di una famiglia politicamente influente. Scopo precipuo di questo ipocrita matrimonio fu, per il Guicciardini, quello di un rapido ed eccezionale cursus honorum, proprio in virtù della potenza della casata della moglie. E così fu. Fu soprattutto il suocero a spianargli la strada verso il successo. Nel 1509, in virtù dell'intervento nepotistico del Salviati, il Guicciardini ottenne l'Avvocatura del Capitolo di Santa Liberata, la qual cosa catalizzò anche l'ascesa in campo internazionale, ottenendo l'incarico, nel 1512, di Ambasciatore dei

de' Medici presso Ferdinando Il Cattolico, Re di Spagna. Nel 1513 il Guicciardini, che sosteneva una riforma in senso aristocratico della Repubblica Fiorentina, tornò a Firenze dove, da quasi un anno, si era reinsediata la Signoria de' Medici. Nel 1515 al Guicciardini fu assegnato un ruolo attivo all'interno della Signoria, in virtù dei suoi servigi resi ai de' Medici, ovvero fu nominato Avvocato Concistoriale e, nel 1516, Governatore di Modena. Nel 1521, essendo Papa Leone X, nato Giovanni di Lorenzo de' Medici, il Guicciardini fu nominato Commissario Generale dell'Esercito Pontificio. Più tardi, giustamente considerato con sospetto e scetticismo dai Repubblicani per il suo supino asservimento ai de' Medici, il Guicciardini si ritirò a vita privata nella sua villa di Finocchieto, vicino Firenze. Lo stesso Cosimo I, ancor più tardi, lo accantonò ed egli si ritirò nell'altra villa, anch'essa di sua proprietà, di Santa Margherita in Montici, ad Arcetri.

 

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Il giudizio di Francesco De Sanctis sul Guicciardini

Francesco Saverio De Sanctis (1817-1883: scrittore, critico letterario, uomo politico, Ministro della Pubblica Istruzione e filosofo. Il più grande critico e storico della Letteratura Italiana del XIX secolo) non amò particolarmente il Guicciardini. Lo scrittore avellinese De Sanctis, nella sua "Storia della Letteratura Italiana", tra le altre cose, enfatizzò quanto segue (testo originale):

" In Guicciardini, ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato. Non rimane sulla scena del mondo che l'individuo. Ciascuno per sé, verso e contro tutti. Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita".

Dando credito alla dotta fonte del De Sanctis, non sembra esserci differenza tra il comportamento eticamente opinabile che il Guicciardini ha tenuto per tutta la vita (vedi matrimonio di interesse, nepotistica scalata sociale, etc.) ed il contennendo comportamento che lui, motu proprio, ascrive a Lucrezia Borgia. Se il Guicciardini si assurge a pubblico ministero di Lucrezia Borgia (perfetta castellana rinascimentale, che ebbe l'ammirazione dei suoi contemporanei), sull'onda di livori e di interessi personali, sembra lecito dar credito a chi, come le illustri menti di Voltaire e di De Sanctis, si assurge a pubblico ministero contro di lui.

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Il Principe (Machiavelli)

Il trattato è imperniato sui cardini fondamentali su cui poggiano, all’epoca, gli stati repubblicani e sulle ragioni del perché essi subiscono metamorfosi in senso monarchico. L’opera, caratterizzata dalla disamina critica della morale politica di prassi, si contraddistingue per la forza che centrifuga il Machiavelli in direzione delle istanze inderogabili della politica del tempo, ovvero in direzione di un auspicabile intervento dei Signori dell’epoca e, ciò, dissertando esplicitamente sulla grande e conflittuale tematica corrente: Il Principato! Il 10 dicembre 1513, Francesco Vettori (*),…

(*) Camaleontico uomo politico fiorentino, versatissimo nel rapportarsi con successo sia con la Repubblica Fiorentina sia con la Signoria Medicea, ottenendo uffici da entrambe.

…in seno al suo ricchissimo epistolario col Machiavelli, veniva da questi edotto circa il compimento dell’opera, che gli veniva così esposta: " Ho composto un opuscolo "De Principatibus", dove io mi profondo quanto io posso nelle cogitazioni di questo subietto, disputando che cos’è Principato, di quale specie sono, come e’ si acquisiscono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono."

(Machiavelli)

Machiavelli par prendere l’aire filosofico, invero, da una catalogazione meramente razionalista, sceverando la Monarchia in tre distinte categorie: ereditaria, nuova, mista. Nondimeno l’anatomia dialettica indugia su ciò che si identifica con il ganglio delle problematiche aperte, vale a dire sul modo in cui si realizzano, astraendo da qualsiasi consuetudine di autorevole ascendente e rango, i nuovi Principati. Ed ancora, sul modo in cui i Principati si occupano e sottomettono, con eserciti propri o prezzolati, con l’ausilio della buona sorte o della cardinale, propria virtù. E, per concludere, sul modo in cui i Principati, una volta creati e/o conquistati, debbano essere preservati. In quanto ai concetti di Stato e di Statista, non sono gli archetipi, es: Mosè, a catalizzare l’attenzione del Machiavelli. Il grande filosofo si concentra su quegli Attor Primi di storiche imprese politico-militari quali, ad esempio, i Capitani di ventura e, particolarmente tra questi, Il Valentino (a lui cronologicamente più vicino), quel Cesare Borgia che lui indicherà quale perfetta ipostasi del "Principe": "…io non saprei quali precetti mi dare migliori a uno Principe nuovo, che lo esempio delle azioni sua; e se li ordini suoi non profittorno, non fu sua colpa, perché nacque da una estraordinaria ed estrema malignità di fortuna". (Machiavelli) Il confine stabile del singolo agire si identifica, invero, nell’ "ordo rerum", ordine fisiologico e non più soprannaturale. Il merito del Principe non si permea più di peculiarità morali, bensì psicologiche e si identifica con il grande magistero, l’autorevolezza personale, la perspicacia e l’oggettiva coscienza di sé. Il Principe deve essere astuto e forte, sagace ed acuto, "virtù", queste, che gli devono aprire le porte del successo. Deve essere un "allotropo", ovvero deve mutare forma e pensiero a seconda delle contingenze! Il Machiavelli coonesta qualsivoglia operato del Principe, pur se in deroga ai principi dell’etica: "se habbi nelle cose a vedere il fine e non il mezzo"! Romanticamente volando nell’ucronia, se le detrazioni mosse dal Guicciardini a detrimento di Lucrezia Borgia avessero avuto un fondamento, questa non sarebbe, invero, stata molto diversa dal fratello Cesare, che il Machiavelli intese estollere a perfetta ipostasi del "Principe". Ne consegue che Lucrezia Borgia sarebbe stata la perfetta ipostasi della "Principessa"! Le valutazioni critiche molto spesso sono soltanto una questione di "adequatio rei et intellectus" (San Tommaso d'Aquino) e ciò è ben manifesto nelle diverse posizioni del Machiavelli e del Guicciardini. Ergo: Punti di vista!!!

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Published on e-Stories.org on 12/02/2015.

 
 

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