Mauro Montacchiesi

Cortese Omaggio Alla Divina Semiramide

"Cortese Omaggio Alla Divina Semiramide"

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Nota introduttiva

Il presente saggio breve, epigrafico portato di vasta ricerca documentale, intende, provocatoriamente, rivalutare l'immagine della Regina Semiramide, troppo spesso accusata di varie iniquità e nefandezze, solo ed esclusivamente sulla base della leggenda e del pregiudizio. Il saggio si compone delle seguenti sezioni:

 

01) Brevi elementi storico-biografici

02) Ishtar/Astarte

03) Babilonia

04) Giustino Martire o di Nablus Flavia Neapolis

05) Agostino di Ippona

06) Paolo Orosio

07) Dante Alighieri

08) Lo Stilnovo e Beatrice

09) Giovanni Boccaccio

10) Christine de Pizan

11) La Città delle Dame

12) Pedro Calderon de la Barca

13) Semiramide (Aspasia) Giacomo Leopardi

14) Nota conclusiva

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Brevi elementi storico-biografici

La Regina babilonese Shammuramat, alias: Semiramide! Consorte di Shamshi Adad V (Re assiro dall'811 a.c. all'808 a.c.), Regina reggente pro-tempore del Regno, in nome del figlio Addu Nirari III. Le notizie storico-biografiche relative a Semiramide, a tutt'oggi, sono controverse ed imperfettamente carenti. Ne deriva che la Regina è diventata un'icona straordinariamente mitica, dalle molteplici e proteimorfe "cromie"! La tradizione vuole che Semiramide sia figlia di Derceto (*)...

(*) Atargatis, in Aramaico ‘Atar‘atah, divinità siriaca “la grande signora delle terre della Siria del nord”, correntemente nota ai Greci come "Derceto o Derketo" <Strabone16.975; Plinio Nat. Hist. 5.81> e come Dea Syria “Dea della Siria”, espressione contratta in "Deasura".

...e del siriano Caistro (*)...

(*) Nella mitologia greca, uno dei figli di Achille e dell'amazzone Pentesile.

..., consorte di Onne e, successivamente, di Adad Nirari, meglio noto come "Re Nino" (*)

(*) Iniziando dal periodo ellenistico, a questo sovrano, molto più tardi, venne ascritta la creazione di Ninive (città assira sulla riva sinistra del Tigri), che da egli assunse il nome. Giusta talune tradizioni mitiche, Nino era figlio del Dio Baal e, appena diciassettenne, in virtù dell'ausilio di Ariaeo (Re dell'Arabia), sottomise l'Asia Occidentale, istituendo, così, il Primo Impero Assiro. Nello svolgimento dell'accerchiamento militare di Bactria (nell'attuale Afghanistan Settentrionale) avvenne il coup de foudre, il fulminante incontro con Semiramide, all'epoca coniugata con un ufficiale del suo esercito. Nino capitolò al cospetto di tanta maliosa venustà e, successivamente, impalmò Semiramide, dalla quale ebbe una figlia: Ninia! A posteriori della dipartita del Re Nino, Semiramide venne tacciata di esserne stata la mandante, ma la Regina reagì ordinando l'edificazione di uno straordinario tempio-mausoleo nei pressi di Babilonia. Già dall'epoca ellenistica, Nino divenne un personaggio letterario, in virtù della sua storia d'amore con Semiramide.

Erodoto <1>(V sec. A.C., storico greco antico, "Padre della Storia" <La sua opera "Le Storie (Ἰστορßαι, Historìai)=inchiesta, ricerca>, Padre dell'Etnografia) e Berosso <2> (ΒÞρωσσος; sacerdote di Bel, astronomo ed astrologo babilonese, famoso per la paternità dell'opera greca "Storia di Babilonia (Βαβυλωνιακὰ"), dipingono Semiramide come un'eccelsa regina che, nel corso del proprio regno, satellizzò Media, Egitto ed Etiopia. Oltre a ciò, edificò imponenti lavori e strutture civile come, ad esempio, le mura ed i giardini pensili di Babilonia, contemplati come una delle sette meraviglie del mondo antico. (La leggenda vuole che Semiramide trovasse nei giardini rose fresche ogni giorno, nonostante il clima secco che peculiarizzava Babilonia).

<1>Erodoto, nel suo libro "Le Storie", parla di molti personaggi e fatti, come, ad esempio: i governatori di Lidia Candaule <Κανδαýλης>, noto come Mirsilo <Μυρσßλος>, venticinquesimo Re di Lidia, ventiduesimo e ultimo della Dinastia Eraclide) e Creso. Narra di Ciro II di Persia, delle frizioni logoranti tra Europa ed Asia, dei rapimenti di donne (Io, Europa, Elena), di Adrasto (assassino del figlio di Creso), dell'Oracolo di Delfi. Erodoto tratteggia il popolo dei Medi e dei Persiani, di Ciro, Deioce, Fraorte, Ciassare, Astiage. Ovviamente questi non sono che alcuni degli innumerevoli personaggi e fatti storici narrati da Erodoto. Questa una sua considerazione generale:

« Poiché, se si proponesse a tutti gli uomini di fare una scelta fra le varie tradizioni e li si invitasse a scegliersi le più belle, ciascuno, dopo opportuna riflessione, preferirebbe quelle del suo paese: tanto a ciascuno sembrano di gran lunga migliori le proprie costumanze. »

(Erodoto, Storie - libro III, 38)

In questa speculazione erodotiana, icastico appare l'atteggiamento vagamente oggettivo nell'interpretare, da parte di tutti, fatti e personaggi storici, se non con un metro di giudizio strettamente collegato e subordinato alla fase socio-storica, all'etica ed alla cultura del paese di appartenenza di detti "interpreti"! Se, comunque, ancora oggi si fa riferimento ad Erodoto, sia nel bene sia nel male, come dottissima fonte etno-storica, perché non credergli quando sublima Semiramide?

<2>Berosso. L'unico libro di cui abbiamo notizia è la Storia di Babilonia (Βαβυλωνιακὰ), in tre libri; l'opera è perduta, ma ne sono giunti frammenti rilevanti grazie a una complessa trasmissione indiretta, che risale soprattutto ad Abideno ed a Alessandro Polistore. Tra i molteplici e variegati argomenti trattati nella "Storia di Babilonia", si approda ad importanti personaggi storici. Da rilevare, particolarmente, che sono stati preservati frammenti della fase storica di Nabucodonosor II e di Nabonedo. Berosso imprime un'impostazione critica ai successi ed ai fallimenti dei regnanti, entrando nel merito della loro condotta morale. Berosso, nel redarre il libro, sostenne di essersi basato su documenti ufficiali che coprivano enormi estensioni temporali. La decifrazione di testi cuneiformi ha mostrato quanto realmente avesse attinto ad antichi testi. Come nel caso di Erodoto, quando Berosso, ad esempio, moraleggia con enfasi negativa su certi sovrani, perché non credergli allorché descrive Semiramide come "Meravigliosa Sovrana"?

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Ishtar/Astarte

E' la divinità più topica del pantheon mesopotamico, le cui origini si fanno risalire, più o meno, al 2.000 a.c. * E' la "Divinità" per antonomasia. La successiva Afrodite-Venere del mondo classico. Signora della battaglia e dell'amore! (Le caratteristiche salienti di Semiramide: Nel 2.350 a.c. gli Accadi occuparono la Mesopotamia. Asservite le città sumeriche, gli Accadi attuarono una serie di riforme dello stato mesopotamico. Una di queste riforme, ad opera di Re Sargon, fu la deificazione del sovrano. Tale deificazione fu consolidata dalla successiva integrazione politica e culturale babilonese. Ne consegue, patentemente, che il Sovrano doveva essere l'ipostasi di un Dio. Pertanto, a Semiramide, la cultura dell'epoca ascrisse qualità che, verosimilmente, non erano sue in quanto donna, bensì in quanto Dea-Regina). Ishtar/Astarte, in quanto "Dea dell'Amore", presso i suoi delubri prestavano ufficio le "prostitute sacre", vale a dire quelle prostitute del cui meretricio, i proventi, andavano a favore del tempio. Ishtar era il desiderio erotico. Ishtar, in quanto Dea, ama il Dio Tammuz, l'eroe Gilgamesh, e numerosi altri. La Dea, nell'iconografia, appare spesso nuda. Dalla nascita di Ishtar/Astarte a quella di Semiramide passano circa dodici secoli. Vale a dire che Semiramide nasce ed è Regina di un Regno in cui vige la cultura della "sacralità delle prostitute". Ciò significa, altresì, che Semiramide, ammesso che sia vero ciò che taluni dicono di lei, è "innocente", poiché il suo comportamento è perfettamente organico all'etica di una cultura nata secoli prima di lei e di cui lei è Regina, ovvero la massima espressione! Si provi ad immaginare come si sarebbe ragionato se, invece di nascere nella cultura occidentale del 2.000 d.c., si fosse nati nella cultura babilonese del 2.000 a.c. * Nel XVII secolo, ai tempi di Papa Innocenzo X Pamphili, la prostituzione era gestita e canonicamente tassata. Le meretrici venivano chiamate, nel lessico burocratico "donne curiali", poiché soggette al controllo del tribunale del Cardinal Vicario (La Curia), che rilasciava le licenze ed esercitava il controllo sui postriboli, nonché ne introitava le tasse. Con i ricavati di queste tasse, verbigrazia, a Roma fu edificato Borgo Pio (Papa Pio IV) e fu sovvenzionata la ristrutturazione di Via Ripetta (Papa Leone X).

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Babilonia

Babilonia, a cagione dei propri disinibiti usi ed audaci tradizioni, sostanzialmente matriarcali, suscitò, nei secoli successivi, parecchio scalpore in seno al Cattolicesimo. San Giovanni, nella sua "Apocalisse" (Il libro è uno dei più oscuri, incerti e complicati da interpretare di tutta la Bibbia), tratteggiò Babilonia come "La Grande Meretrice"! Di 404 versetti, 278 contengono almeno una citazione veterotestamentaria. I libri che hanno maggiormente influenzato l'Apocalisse sono i libri dei Profeti e, precipuamente: Daniele, Ezechiele, Isaia, Zaccaria. Oltre a questi: Il Libro dei Salmi e l'Esodo. Nella Bibbia, Babilonia è l'allegoria del Male, antiteticamente alla Gerusalemme Celeste dell'Apocalisse. Babilonia, sovente, viene citata nella Bibbia come emblema degli avversari di Dio e del Popolo Eletto e raffigura il vincolo del paganesimo e dell'idolatria con il potere politico. Taluni brani biblici, particolarmente nella citata Apocalisse, fanno riferimento a Babilonia la Grande, alla Grande Prostituta o alla Meretrice di Babilonia, tratteggiando, metaforicamente, un'icona femminile che esercita il potere ed il controllo sui sovrani della terra e sui loro sudditi. Babilonia viene talora identificata con l'Anticristo e cavalca un aninale eptacefalo. Il biblico aborrimento nei confronti di Babilonia e dei Babilonesi scaturisce, verosimilmente, dalla realtà storica che Israele, molto sovente, fu motivo di tenzone tra Egitto e Babilonia. Per secoli Israele svolse un ruolo catalizzatore di frizioni fra i due Stati. Non va dimenticato che Nabucodonosor II, Sovrano babilonese, deportò in massa il popolo ebraico a Babilonia. Un'attenta disamina dell'Apocalisse enfatizza un riverberante sostrato teologico di matrice giudaica, come, ad esempio: reiterati riferimenti all'Antico Testamento, dualismi (luce-tenebre, verità-menzogna, vita-morte), concetto di Padre vivente, escatologia. Tutto ciò implica ed esige un'attenta riflessione circa l'oggettività assiologica di Giovanni! I concetti biblico-apocalittici di "Grande Meretrice", "Babilonia la Grande", "Grande Prostituta", "Meretrice di Babilonia", si sono prestati, e si prestano, a molteplici esegesi. Un vasto numero di dotti esegeti cattolici opina che "Babilonia la Grande" sia null'altro che Roma, ritenuta empia ed idolatra a causa della persecuzione dei Cristiani. Secondo altri esegeti "Babilonia la Grande" era la Chiesa, in quanto ricettacolo di corruzione. Federico Barbarossa, prima che la Pace di Costanza venisse siglata, inviò un'epistola a Papa Alessandro III, qualificando il Pontefice come "Anticristo" e la Chiesa come "Meretrice di Babilonia". Dante Alighieri citò la Roma papalina, accusandola di simonia e corruzione, con queste parole (originali):

« Di voi pastor s'accorse il Vangelista,

quando colei che siede sopra l'acque

puttaneggiar coi regi a lui fu vista »

(Divina Commedia, Inferno, XIX, 107-117)

Più tardi (XV secolo), Fra' Girolamo Savonarola anatemizzò la propria Chiesa, tratteggiandola come "Meretrice di Babilonia", poiché biasimava il decadimento etico e la politica del Papato, finendo sul rogo. I fondatori delle Chiese Riformate (Martin Lutero <che scrisse il trattato teologico Sulla cattività babilonese della Chiesa>, Giovanni Calvino e John Knox) identificarono la Chiesa Cattolica Romana con la "Meretrice di Babilonia". Attualmente, taluni cattolici tradizionalisti e sedevacantisti, ricusando i dettami del Concilio Vaticano II, sono convinti che, a posteriori del Papato di Giovanni XXII, Roma vada immedesimata nella "Grande Babilonia".

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Di Semiramide narrano: Giustino (martire cristiano del II secolo), Agostino di Ippona ed il suo discepolo Paolo Orosio. A quest'ultimo fece riferimento, molti secoli dopo, Dante Alighieri. Semiramide già nel Medioevo diventò un'icona di licenziosità ed efferatezza, particolarmente a causa degli scritti di Orosio, a cui si ispirò Dante per anatemizzare la Regina nel suo iferno (Inferno, V, 55-60). Anche Boccaccio, nel "De mulieribus claris", la detrasse come "altera, lussuriosa ed efferata".

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Giustino martire o di Nablus Flavia Neapolis

Filosofo e martire cristiano. Santo e Padre della Chiesa. Prima Apologia dei Cristiani e Seconda Apologia dei Cristiani , sue opere, fanno di lui un proto-apologeta della dialettica cristiana. Giustino venne educato nel paganesimo. La sua smania di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche: Stoicismo, Scuola Peripatetica, Pitagorismo. Ma Giustino non trovava quel che cercava, ovvero il raggiungimento della "verità" e della "conoscenza di Dio". Infine frequentò la Scuola Platonica, dove pensò di aver rinvenuto quanto cercava: " La conoscenza delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee". Giustino si persuase che tutto ciò lo avrebbe rapidamente condotto alla "Visione di Dio", fine ultimo della Filosofia, secondo lui! L'aura teologica, che vibrava nell'intera dialettica platonica, fu fluidamente metabolizzata dal Cristianesimo. Il Cristianesimo, infatti, nella filosofia di Platone riscontrava, già icastica, la dicotomia tra mondo delle idee e mondo sensibile, omologabile alla rinuncia degli aspetti fisici di questo mondo, in favore di una beatitudine trascendente. Similmente al Platonismo, il Cristianesimo assimilò il carattere transeunte del corpo e l'eternità dello spirito. Il mondo sensibile e il mondo intelligibile di Platone si identificheranno, nel Cristianesimo, con il naturale e con il soprannaturale e, soprattutto, permarrà la loro marcata differenziazione. Invariato permarrà, altresì, il concetto di Bene soprasensibile come fine ultimo degli esseri. Successivamente Giustino venne centripetato dai profeti di Israele e, passando attraverso questa cultura, si convertì al Cristianesimo, ad Efeso, nel 130 d.c. circa. Giustino, uno dei principali accusatori di Semiramide, visse quasi mille anni dopo la morte della Regina! I dettami platonico-cristiani e la cultura ebraica (intrisa di anti-babilonismo), indirizzarono Giustino verso un atteggiamento particolarmente ostile nei confronti di Semiramide, la cui colpa principale fu, forse, quella di aver vissuto in un'epoca ed in una società culturalmente diverse, di certo non orientate verso un opinabilissimo ascetismo. Verosimilmente Giustino commise il peccato di presunzione di aver trovato la verità, una sorta di "Gnosi", in netta contraddizione con l'assunto "adequatio rei et intellectus", del suo omologo postero San Tommaso d'Aquino: filosofo, santo, dottore della Chiesa (Aquino 1225-Fossanova 1274), massimo rappresentante della Scolastica medievale.

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Agostino di Ippona

Le notizie biografiche di Agostino sono state minuziosamente trasmesse nella sua opera morale "Confessioni"e nella sua opera "Ritrattazioni", opere che tratteggiano la dinamica evolutiva del pensiero agostiniano. Oltre che in queste due opere, Agostino viene trattato nell'opera "Vita di Agostino", redatta dal fidus acathes Possidio (*)...

(*) San Possidio: Vescovo di Calama, Santo del Cattolicesimo. Il grande ed intenso sodalizio con Agostino, che incontrò durante l'edificazione del monastero maschile di Ippona, durò circa quattro decenni. Quando, nel 428, Calama fu sacchegiata e distrutta dai Vandali, Possidio trovò ostello presso l'amico Agostino, ad Ippona.

..., il quale affronta e descrive l'apostolato del tagastense. Per quel che concerne Semiramide, è divenuto obbligatorio condannarla sulla base del mito e della leggenda, nonché di scarsissimi documenti, per lo più di fonti ostili. Per quel che concerne uno dei suoi principali accusatori (che si rifa, dunque al mito ed alla leggenda e, comunque, che è vissuto circa 1.200 anni dopo), è obbligatorio santificarlo sulla base di tre faziose opere: due (per lo più autobiografiche) scritte dalla parte in causa e la terza da parte di un "carissimo amico"! Una volta, essendo molto malato, chiese di essere battezzato. tuttavia, appena guarito, rinunciò al Sacramento. Agostino, a sedici anni, vivendo nell'ozio, fu colto da una profonda crisi intellettuale e morale. Pervaso da una profonda agitazione, venne centripetato da un turbine di passioni e sedotto dal peccato. Quando la crisi cominciò, Agostino si dedicò molto alla preghiera, tuttavia privo del vero auspicio di venire esaudito. Sul finir dell'anno 370 d.c., a Cartagine, si ritrovò ad aberrare vieppiù dal suo antico modo di essere. Cartagine era una città che offriva licenziosità e vita mondana. L'ebbrezza del successo ed il desiderio di primeggiare pervasero Agostino. Una delle sue più celebri frasi recita: "Signore dammi castità e continenza, ma non subito". Poco tempo dopo il suo arrivo a Cartagine, Agostino rivelò alla madre, Monica, di aver vissuto in una situazione di concubinato, per 15 anni, con una donna, la quale gli aveva anche dato un figlio, Adeotato. Il concubinato terminò nel 386 d.c. ed Agostino non riportò mai il nome della donna, in nessuno dei suoi testi. Va enfatizzato, nondimeno, che in quel periodo storico, la Chiesa consentiva il concubinato. (A tal proposito va ricordata, ma è soltanto uno dei tantissi esempi che si potrebbero produrre, "La crisi della Chiesa e la Riforma di Cluny" * Due erano i mali della Chiesa: la simonia, ossia l'acquisto di cariche ecclesiastiche, e il concubinato, cioè la violazione del celibato ecclesiastico). Agostino, fin da giovane, fu pervaso dal desiderio di ingrangere gli schemi. Monica, la madre, fu talora estremamente contrariata per certe decisioni di Agostino, al punto di negargli l'accesso in casa. Arrivato nella Città Eterna, avviò una Scuola di Retorica, ma, deluso dagli escamotage dei suoi discenti per eludere le tasse di istruzione, inoltrò domanda per coprire un posto vacante come professore, a Milano. Le sue passioni lo rendevano ancora schiavo. Nel frattempo la madre Monica, giunta a Milano, lo suase a fidanzarsi, ma la ragazza era troppo giovane. Agostino, comunque, ruppe con la concubina, madre di Adeodato ed iniziò una relazione con un'altra donna. Seguì un periodo in cui il pensiero della conversione al Cristianesimo venne obnubilato dal dubbio relativo a tutti i piaceri che avrebbe dovuto abiurare.

"Cernere festucam mos est in fratris ocello, in propriis oculis non videt ipse trabem"

"Vangelo: "E' più comodo vedere la pagliuzza nell'occhio altrui invece della trave nel proprio occhio" (Lc, 6, 41).

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Paolo Orosio

Historiarum adversus paganos libri septem

E' un'opera apologetico-storica di Paolo Orosio <scrittore iberico del principio del V sec.>. L'opera fu scritta nel 417, dietro sollecitazione di Sant'Agostino, quale perfezionamento del terzo libro del De Civitate Dei. Orosio intese argomentare e provare in che modo il genere umano patisse di eventi molto più nefasti prima dell'avvento del cristianesimo che non dopo. A tal fine vergò una storia universale, che per la connotazione icasticamente apologetica, si contraddistinse e variò dagli enchiridi storici molto in uso illo tempore. Tuttavia, non tanto eventi storici, quanto grandi disgrazie dell'umanità vennero enfatizzate <guerre civili, epidemie, carestie, sconvolgimenti climatico-tellurici, etc.>. Secondo Orosio, con l'avvento del Cristianesimo, questi flagelli sarebbero divenuti meno gravi. Orosio postulava che la presenza operante della Provvidenza Divina si riconosceva in tutte le vicende della storia. La connotazione veementemente apologetica dell'opera lo portò ad assidue e reiterate iperboli ed imprecisioni. Evidentemente Orosio non godeva del carisma divo della preveggenza o della predizione. Le successive letture dei testi di Orosio, nel corso dei secoli, hanno portato spesso ad errori riguardanti fatti e luoghi,soprattutto a causa del suo latino di scabrosa intellezione, anche per uno come Dante Alighieri.

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Dante Alighieri

La schiatta fiorentina degli Alighieri era adamantinamente vincolata ai Guelfi, in un'articolatissima antitesi agli anticlericali Ghibellini. Dante Alighieri era suaso che la sua schiatta derivasse direttamente dagli Antichi Romani (Inferno, Canto XV, 76). Il Poeta tentò più volte di ventilare la propria, "presunta", nobile ascendenza. C'è da chiedersi perché fosse, per lui, così importante rivendicare l'ascendenza romana, quando, nel corso dei secoli, i Romani e l'Impero Romano (in quanto a violenza, corruzione, licenziosità dei costumi, etc.) non furono certamente meno biasimevoli di Semiramide e degli Assiro-Babilonesi. Il nonno paterno di Dante, Bellincione, era un popolano e la questione era peculiarmente invisa a Dante, orientato verso la ricchezza, il potere, il nobilato. Bella degli Abati, madre di Dante, apparteneva (Abati) ad una notabile ed abbiente famiglia ghibellina. Di lei si hanno scarse notizie. Dante la relegherà eternamente nell'oblio, vale a dire che non la citerà praticamente mai. Perché? C'era qualcosa di cui vergognarsi? Eppure egli dovette gran parte dei suoi agi, dei suoi studi, della sua futura fama, proprio alla madre! Forse un complesso di Edipo irrisolto, forse un'immanente misoginia produssero un transfert su Semiramide, non tanto in quanto Regina, bensì in quanto Donna-Madre!? Bella degli Abati passò a miglior vita quando Dante era ancora un infante. Alaghiero, il padre, convolò subito a nuove nozze con Lapa di Chiarissimo Cialuffi e da questa ebbe poi due figli: Francesco e Gae(Tana). Inconfutabilmente il comportamento del padre cospicuamente stride con le più ortodosse regole della teologia guelfo-cattolica! Un comportamento da "anatema"! Ed allora, perché condannare Semiramide? All'età di venti anni, Dante sposò Gemma Donati, figlia di Messer Donati. I Donati erano una delle più topiche e facoltose famiglie fiorentine dell'epoca, schierata con i Guelfi Neri, avversari di Dante! Dante e la sua famiglia, gesuiticamente, non mostrarono certo una grande coerenza tra denaro, da un lato, ed ideali teologico-politici, da un altro. Gemma Donati diede a Dante tre figli: Jacopo, Pietro ed Antonia. Quest'ultima fu costretta a diventare monaca, divenendo "Sorella Beatrice"! Si rammenta che, all'epoca, le figlie femmine erano in larga misura destinate al convento, per eludere l'obbligo oneroso di munirle di dote in caso di matrimonio! Complimenti arpagonico Dante!!! Molte e ricorrenti sono le notizie di "Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia", di cui si hanno elementi ufficiali soprattutto in un atto pubblico del 21 ottobre 1308, in quel di Lucca. Non era questi il frutto spurio di un adulterio? Dov'è la differenza con la presunta lusssuria di Semiramide? E quanti dovrebbero andare all'Inferno? Il Paradiso è un deserto!? Dante fu molto attivo in politica. Ad esempio, soltanto per citare alcuni dei suoi molteplici impegni politici: fece parte del Consiglio del Popolo, del "Gruppo dei Savi" (che rinnovò le regole per l'elezione dei priori, vale a dire dei precipui esponenti di ogni Arte), del Consiglio dei Cento. Ricoprì, in diverse occasioni, l'incarico di Ambasciatore. Politicamente tentò, assiduamente ed indefessamente, di avversare la politica del suo irriducibile e, per lui, "contennendo" Papa Bonifacio VIII, che poi scagliò alle pene eterne del suo "Inferno-Canto XXVII-Cerchio Ottavo: fraudolenti-Bolgia ottava: consiglieri fraudolenti: Guido da Montefeltro, Malatestini, Bonifacio VIII".

'Eritis sicut Deus, scientes bonum et malum’, Genesis 3:5, secondo la Vulgata. Nell'opera "Faust" di Goethe, queste parole sono scritte da Mefisto, travestito da erudito Dottor Faust, nell'album dello studente. "E sarete come Dio, scienti del bene e del male"

Perché questa citazione? Semplicemente per enfatizzare che il Sommo Dante santificava o demonizzava giusta i propri interessi, soprattutto politici. Dante organizzò diversi colpi di stato, tra cui, ad esempio: nel 1302, Dante, capitano dell'esercito degli esuli, pianificò, congiuntamente a Scarpetta Ordelaffi (Leader del Partito Ghibellino e Signore di Forlì), un'azione di forza per far rientro a Firenze e prenderne il potere, ma il tentativo abortì. Oggi un tal comportamento verrebbe definito "eversione"!!! I fatti cambiano aspetto ed interpretazione a seconda della parallasse, ovvero a seconda dell'angolo di visuale! A proposito, sembrerebbe che Dante abbia dimenticato, nella Divina Commedia, di trovarsi una collocazione post-mortem! Chissà dove si sarebbe allogato! Nel Paradiso con "l'amante Beatrice"???

Lo Stilnovo e Beatrice

Dante si innamorò di Beatrice, figlia di Folco Portinari. Beatrice venne divinizzata e sublimata nella "Vita nova". In virtù di questo Amore, Dante impresse il proprio marchio al Dolce Stil Novo. Un'inusitata interpretazione dell'Amor Cortese, resa aulica dalla sua vibrante connotazione misticheggiante (il culto di Maria e le Laudi , giunti a Dante tramite i movimenti pauperistici del XIII secolo, dai Francescani in poi). Per contro, per quel che concerne Semiramide:

"A vizio di lussuria fu sì rotta, | che lìbito fé licito in sua legge | per tòrre il biasimo in che era condotta. | Ell'è Semiramis, di cui si legge | che succedette a Nino e fu sua sposa: | tenne la terra che 'l Soldan corregge"

(Inf. V, 52 – 63)

Queste sono parole che Dante "dedicò" a Semiramide (esatta antitesi di Beatrice), condannandola, motu proprio, all'Inferno. Tuttavia, c'è da chiedersi, ucronisticamente, cosa avrebbe detto e scritto Dante della Regina babilonese, se egli fosse nato in quel tempo a Babilonia, permeato di cultura babilonese (si rammenta la sacralità di Ishtar/Astarte e delle sue prostitute) e non della trecentesca cultura pauperistico-francescana. Beatrice Portinari era sposata con Simone dei Bardi, detto Mone. Gli elementi biografici di Beatrice germinano pressoché esclusivamente dalla "Vita nova" di Dante. Ma quanto, il giudizio univoco e monogenetico di un uomo innamorato come Dante, può essere considerato oggettivo? E perché Semiramide, che pur aveva ed ha degli apologeti, è considerata una diavolessa!?

"Gli amanti vedono i difetti delle proprie innamorate solo dopo che l'incanto è finito"

(François de La Rochefoucauld, XVII secolo. Scrittore e filosofo francese, sommo scrittore moralista di massime)

Giusta la "Vita Nova" Beatrice e Dante si conobbero quando lui aveva diciotto anni. Allorche Beatrice spirò, Dante, in preda allo sconforto (ma non aveva moglie e figli, di cui, uno spurio?), si immerse nello studio di testi latini, vergati da artisti che, similmente a lui, avevano smarrito la persona del cuore. L'epilogo della défaillance esistenziale di Dante si identificò con la stesura della "Vita nova = Rinascita". Nella Divina Commedia, Beatrice, addirittura, venne sublimata a spirito puro, ovvero a creatura angelica, giusta i canoni del Dolce stil Novo.

Tanto gentile e tanto onesta pare (sonetto contenuto nel XXVI capitolodella Vita Nova)

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

...

Da rammentare ed enfatizzare che Beatrice (...onesta pare la donna mia...) era una donna sposata e che sposato era anche dante Alighieri, padre di tre figli leggitimi più uno naturale con altra donna. Cosa avrà pensato Gemma Donati di questo love affaire e delle sublimi pagine scritte dal fallocratico Dante alla sua Musa? Tutto inventato per creare un'aulica icona stilnovista? Ma a giudicare da molte fonti storico-letterarie, non sembrerebbe proprio così! Ed allora, qual è il postulato etico sul quale si soffolce l'anatema storico-culturale di Dante nei confronti di Semiramide?

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Giovanni Boccaccio

Certaldo, Firenze 1313/ Certaldo 21 dicembre 1375. Scrittore e poeta italiano. Una delle sue massime opere è il "Decameron" (1348-1351). Il testo fu censurato e ritenuto proibito fino al 1559 a causa, soprattutto, della sua scurrilità. Il termine "boccaccesco", invero, significa: lussurioso, licenzioso, volgare, triviale, sconcio, osceno, indecente, sboccato. Già questo basterebbe a mettere in dubbio il sentimento di condanna di Boccaccio nei confronti di Semiramide, da lui definita, usando due termini eufemistici: "licenziosa e lussuriosa". Altra opera importante del Boccaccio è "Il Corbaccio o Laberinto d'amore", scritta tra il 1354 ed il 1356. La narrazione, dalle connotazioni fortemente autobiografiche, è una continua apostrofe contro le donne. Lo scrittore, deluso e respinto da una vedova, in visione onirica giunge in un bosco nel quale, gli uomini che si sono comportati con eccessiva fralezza nei confronti delle donne, sono mutati in animali orripilanti. E' il "Laberinto d'amore" o "Porcile di Venere" (Ishtar/Astarte=Afrodite/Venere). In questo luogo lo scrittore incontra il quondam marito della vedova di cui è innamorato. Il defunto, a posteriori di una fittissima elencazione sulle mende delle donne, lo esorta a centrifugare qualsiasi suo interesse dalle donne ed a dedicarsi allo studio che, per contro, sublima lo spirito. In questa satira la dialettica giovanile del Boccaccio viene stravolta, assumendo connotazioni addirittura antitetiche. Nel Decameron, l'amore veniva interpretato al naturale, in quanto dinamo attiva e veemente di un'opera dedicata proprio al mondo delle donne. Adesso l'amore è interpretato come corruzione e le donne vengono rifiutate a favore delle Muse, simboli di sublimazione spirituale. Questa metamorfosi radicale va ascritta peculiarmente ai tourbillon mistici del Boccaccio in vecchiaia. Partendo dallo scontato assioma di una sublime caratura filologica, v'è comunque da congetturare che il Boccaccio uomo sia stato un complessato, frustrato, represso, schizoide avvezzo a sismi paranoidi ed a maelstrom psichedelici. Nel Boccaccio evidenti sono la misoginia e la volubilità del pensiero, scaturiti da delusioni sentimentali. Chissà cosa sarebbe successo se, vivendo a Babilonia con la "lussuriosa e licenziosa" Semiramide, questa gli avesse offerto i suoi favori carnali!?

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Christine de Pizan

Venezia, 1362-Monastero di Poissy, 1431. Scrittrice, poetessa, filosofa di origini italiane. Prima scrittrice europea di professione. Tra le sue numerose opere di successo va ricordato, particolarmente, il libro "La Città delle dame", redatto trail 1404 ed il 1405. Per tutta la sua esistenza ed in tutte le sue opere, avversò tenacemente la preponderante, fallocratica misoginia. Sovente è stata contemplata come ante-litteram del femminismo, come la prima rivendicatrice della dignità femminile in un’epoca in cui il binomio donna-demonio era particolarmente ricorrente. La protagonista di "La Città delle Donne", subitaneamente e vigorosamente dice con sardonica ironia:

«Ahimè, mio Dio, perché non mi hai fatto nascere maschio? Tutte le mie capacità sarebbero state al tuo servizio, non mi sbaglierei in nulla e sarei perfetta in tutto, come gli uomini dicono di essere…».

Carlo V aveva fondato la Biblioteca Reale del Louvre, alla quale Christine potè accedere a sua discrezione. Nei suoi studi Christine, paradossalmente, fu appoggiata dal padre, ma avversata dalla conservatrice madre. Christine si costruì una cultura letteraria enorme, cosa rara, in quanto non concepita e permessa, per le donne di quell'epoca! Appena venticinquenne, Christine subì un'allegorica metamorfosi e divenne un uomo. Vale a dire che divenne più indipendente e coscienziosa, elementi, questi, similmente alla cultura, privilegio degli uomini.

 

Or fus jee vrais homs, n'est pa fable,/De nefs mener entremettable

(allora diventai un vero uomo, non è una favola,/capace di condurre le navi)

Nelle sue molteplici opere, come ad esempio in "L'Avision-Christine, L'Epistre au Dieu d'Amours" , stigmatizzò gli uomini che, in nome dell'amore, mistificavano e detraevano le donne. In "Le Livre de Trois Vertus", incoraggiò le donne ad essere forti e ad abiurare i luoghi comuni del sesso.

La Città delle Dame

Il "Livre de la Cité des Dames" fu composto come replica a "De mulieribus claris" del Boccaccio. Nel XIII secolo, Jean de Meun, nel suo libro "Roman de la rose", tratteggiava le donne come spudorate ammaliatrici. Nello stesso secolo, ingente era la letteratura misogina e patentemente ostile alla donna:

«…Sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d'accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline ad ogni tipo di vizio…». (Christine de Pizan)

Christine, per contro, prospetta, metaforicamente, una società illusoria ed impossibile per l'epoca: Una società corroborata ed edificata giusta i canoni di Ragione, Rettitudine e Giustizia. In questa società Christine inserisce sante, eroine, poetesse, scienziate, regine, etc.. Queste rappresentano il paradigma dell'immane ars inveniendi, dell'inderogabile potenziale delle donne nella società. Tra queste: Semiramide (fondatrice di Babilonia: esempio della forza e della capacità guerriera di una donna), Didone (fondatrice di Cartagine), Lucrezia (moglie di Collatino, relazionata all'ostracismo di Tarquinio Il Superbo). Quest'ultima, suicidandosi dopo esser stata stuprata, funse da catalizzatore per la promulgazione di una legge che prevedeva la pena capitale per i violentatori. Leit motiv in "La Città delle Dame" è l'istruzione delle donne. L'impedimento coatto all'istruzione, congiunto al relegamento domestico, fu la cagione della supposta inferiorità delle donne e della loro latitanza dai milieu culturali.

«…una donna intelligente riesce a far di tutto» «…gli uomini sarebbero molto irritati se una donna ne sapesse più di loro» (C. de Pizan)

***

Pedro Calderon de la Barca

Madrid, 17 gennaio 1660-Madrid, 25 maggio 1681. Drammaturgo e religioso spagnolo, dedicò a Semiramide il dramma "La hija del aire". Queste sono alcune sue parole originali, tradotte dallo spagnolo:

« Semiramide fu una donna di immenso valore e grande coraggio nelle imprese e nell'esercizio delle armi. Fu sposa del re Nino, che diede il nome alla città di Ninive, e diventò un grande conquistatore grazie all'aiuto di Semiramide, che cavalcava in armi al suo fianco. Egli conquistò la grande Babilonia, i vasti territori degli Assiri e molti altri paesi. Questa donna era ancora molto giovane quando Nino venne ucciso da una freccia, durante l'assalto a una città. Dopo aver celebrato solennemente il rito funebre la donna non abbandonò l'esercizio delle armi, anzi più di prima prese a governare e realizzò tali e tante opere notevoli, che nessun uomo poteva superarla in forza e in vigore. Era così temuta come guerriera, che non solo mantenne i territori già conquistati ma, alla testa di una grande armata, mosse guerra all'Etiopia, contro cui combatté con ardimento, conquistandola e unendola al suo impero. Da lì partì per l'India e attaccò in forze gli Indiani, ai quali nessuno aveva mai osato dichiarare guerra, li vinse e li soggiogò. In seguito arrivò a conquistare tutto l'Oriente, sottomettendolo alle sue leggi. Oltre a queste conquiste, Semiramide fece ricostruire e consolidare la città di Babilonia,fece costruire nuove fortificazioni e grandi e profondi fossati tutt'intorno. »

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Semiramide

(Aspasia)

Giacomo Leopardi

 

Torna dinanzi al mio pensier talora

il tuo sembiante, o Semiramide. O fuggitivo

Per abitati lochi a me lampeggia

In altri volti; o per deserti campi,

Al dì sereno, alle tacenti stelle,

Da soave armonia quasi ridesta,

Nell'alma a sgomentarsi ancor vicina

Quella superba vision risorge.

Quanto adorata, o numi, e quale un giorno

Mia delizia ed erinni! E mai non sento

Mover profumo di fiorita piaggia,

Nè di fiori olezzar vie cittadine,

Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno

Che ne' vezzosi appartamenti accolta,

Tutti odorati de' novelli fiori

Di primavera, del color vestita

Della bruna viola, a me si offerse

L'angelica tua forma, inchino il fianco

Sovra nitide pelli, e circonfusa

D'arcana voluttà; quando tu, dotta

Allettatrice, fervidi sonanti

Baci scoccavi nelle curve labbra

De' tuoi bambini, il niveo collo intanto

Porgendo, e lor di tue cagioni ignari

Con la man leggiadrissima stringevi

Al seno ascoso e desiato. Apparve

Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio

Divino al pensier mio. Così nel fianco

Non punto inerme a viva forza impresse

Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto

Ululando portai finch'a quel giorno

Si fu due volte ricondotto il sole.

Raggio divino al mio pensiero apparve,

Donna, la tua beltà. Simile effetto

Fan la bellezza e i musicali accordi,

Ch'alto mistero d'ignorati Elisi

Paion sovente rivelar. Vagheggia

Il piagato mortal quindi la figlia

Della sua mente, l'amorosa idea

Che gran parte d'Olimpo in se racchiude,

Tutta al volto ai costumi alla favella

Pari alla donna che il rapito amante

Vagheggiare ed amar confuso estima.

Or questa egli non già, ma quella, ancora

Nei corporali amplessi, inchina ed ama.

Alfin l'errore e gli scambiati oggetti

Conoscendo, s'adira; e spesso incolpa

La donna a torto. A quella eccelsa imago

Sorge di rado il femminile ingegno;

E ciò che inspira ai generosi amanti

La sua stessa beltà, donna non pensa,

Nè comprender potria. Non cape in quelle

Anguste fronti ugual concetto. E male

Al vivo sfolgorar di quegli sguardi

Spera l'uomo ingannato, e mal richiede

Sensi profondi, sconosciuti, e molto

Più che virili, in chi dell'uomo al tutto

Da natura è minor. Che se più molli

E più tenui le membra, essa la mente

Men capace e men forte anco riceve.

Nè tu finor giammai quel che tu stessa

Inspirasti alcun tempo al mio pensiero,

Potesti, o Semiramide, immaginar. Non sai

Che smisurato amor, che affanni intensi,

Che indicibili moti e che deliri

Movesti in me; nè verrà tempo alcuno

Che tu l'intenda. In simil guisa ignora

Esecutor di musici concenti

Quel ch'ei con mano o con la voce adopra

In chi l'ascolta. Or quella Semiramide è morta

Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto

Della mia vita un dì: se non se quanto,

Pur come cara larva, ad ora ad ora

Tornar costuma e disparir. Tu vivi,

Bella non solo ancor, ma bella tanto,

Al parer mio, che tutte l'altre avanzi.

Pur quell'ardor che da te nacque è spento:

Perch'io te non amai, ma quella Diva

Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core.

Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque

Sua celeste beltà, ch'io, per insino

Già dal principio conoscente e chiaro

Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi,

Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi,

Cupido ti seguii finch'ella visse,

Ingannato non già, ma dal piacere

Di quella dolce somiglianza un lungo

Servaggio ed aspro a tollerar condotto.

Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola

Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni

L'altero capo, a cui spontaneo porsi

L'indomito mio cor. Narra che prima,

E spero ultima certo, il ciglio mio

Supplichevol vedesti, a te dinanzi

Me timido, tremante (ardo in ridirlo

Di sdegno e di rossor), me di me privo

Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto

Spiar sommessamente, a' tuoi superbi

Fastidi impallidir, brillare in volto

Ad un segno cortese, ad ogni sguardo

Mutar forma e color: Cadde l'incanto,

E spezzato con esso, a terra sparso

Il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni

Di tedio, alfin dopo il servire e dopo

Un lungo vaneggiar, contento abbraccio

Senno con libertà. Che se d'affetti

Orba la vita, e di gentili errori,

È notte senza stelle a mezzo il verno,

Già del fato mortale a me bastante

E conforto e vendetta è che su l'erba

Qui neghittoso immobile giacendo,

Il mar la terra e il ciel miro e sorrido.


***

Nota conclusiva

I principali Pubblici Ministeri storico-culturali contro Semiramide sono, come già citato: Giustino, Agostino, Orosio, Dante e Boccaccio. Questi emeriti personaggi, fermo restando il loro incontrovertibile spessore, hanno intessuto requisitorie contro Semiramide, non su oggettiva base documentale, bensì su base leggendario-mitologica, ovvero su base cospicuamente influenzata dalla loro cultura (ben dissimile da quella babilonese). Per quel che concerne la scarsissima base documentale, si ricorda, ancora una volta, che tale base documentale era in cuneiforme, tradotto poi in greco antico, in koiné, in latino ed in altre lingue. I dotti linguisti ben sanno a quali aberrazioni semantico-ermeneutiche tutto ciò può portare. L'autore ha inteso, molto cautamente, adergersi ad apologeta perorante la causa della "Divina Semiramide", intessendo epigrafiche requisitorie contro i Pubblici Ministeri, facendo ricorso a documentazioni enciclopediche. Vale a dire che, mentre su Semiramide narra il mito-leggenda, sui Pubblici Ministeri narrano testi enciclopedici universalmente adottati e riconosciuti.

"Cortese Omaggio Alla Divina Semiramide"

 

 

 

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Published on e-Stories.org on 06/16/2017.

 
 

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