Durante uno dei miei viaggi di lavoro negli Stati Uniti, se la memoria non m’inganna credo fosse il 1989 , mi trovavo a gironzolare dalle parti del Kodak Theatre (oggi Dolby T.) a Hollywood, dove ogni anno l’Academy Award assegna gli Oscar. Quando, attirato dal solito, irresistibile richiamo della carta stampata, mi fermo davanti a una libreria, proprio in Hollywood Boulevard. La guardo: non è certo la Rizzoli della Quinta Strada (oggi trasferita). Tutta luci, ottoni, e legni pregiati. Ma solo una modesta e piuttosto malandata libreria che potreste trovare in uno sperduto paesino dell’Arizona. Dove le strade sterrate sono percorse di continuo da quelle palle di arbusti che corrono saltellando su e giù spinte dal vento. Scena ormai familiare per chi, come me, è uscito dal cinema americano degli anni cinquanta e sessanta.
Sembra in disarmo. Nelle due spoglie e fatiscenti vetrine, ai lati di una porta tutta acciaccata, la cui cornice di legno risale probabilmente agli anni trenta, ci sono in tutto una decina di libri con sopra due dita di polvere. Più qualche sgualcita locandina di vecchi film. Roba da cinemabilia. Entro e non vedo in giro anima viva. Amo queste atmosfere metafisiche alla Hopper. Anche se nei suoi quadri di tanto in tanto un’anima - seppure affetta da incomunicabilità - si trova. Al centro, alcuni tavolacci zeppi di pile di volumi così incerte da sfidare la forza di gravità; mentre ai lati, file di scaffalature deformi cercano con difficoltà di correre parallele.Improvvisamente mi viene in mente che da anni sono alla ricerca delle sceneggiature delle opere di Neil Simon. Autore di alcune delle commedie più esilaranti che mente abbia partorito. Come Appuntamento al Plaza, La strana coppia, A piedi nudi nel parco, e I ragazzi irresistibili. L’anno prima, A New York, avevo battuto tutte le più importanti librerie senza molta fortuna. Non avevo trovato nessuno che mi sapesse dire qualcosa in proposito, nemmeno se quelle sceneggiature fossero state stampate. Stavolta mi trovavo nella mecca del cinema, e se mai un editore di terza categoria, per caso, avesse avuto l’ardire di raccoglierle in qualche volume, Hollywood era l’unico posto dove potevo sperare di recuperarle. Magari non proprio in questa sbrindellata ed ammuffita libreria, ma comunque - continuo a ripetermi procedendo - tentar non nuoce.
Ed ecco che ad un certo punto mi trovo davanti ad una scala. Naturalmente in legno d’antan e assai malferma, per non fare torto allo stile del luogo. Alzo gli occhi e vedo un giovane allampanato che sta sistemando alcuni volumi. Mi avvicino e gli chiedo se per caso ne ha una copia. Lui mi guarda come se fossi sbucato dal passato, ci pensa un po’ su, e dice stancamente: chi? Neil Simon?…mmmh…cosa ha scritto? Dopo un attimo di smarrimento, mi riprendo: don’t worry, thank’s a lot. Realizzo che da lui non posso cavare niente di più se non un’altra domanda. Neanche con una dose massiccia di Pentothal. Potrei magari tentare con qualche pista di neve, ma non è aria. Il giovane non avrebbe potuto nemmeno confondersi con il cantante omonimo. Perché, al momento, era ancora un bimbo. Doveva avere sì e no dieci anni, e trovarsi ai primi accordi di chitarra.
Supero la scala, giro a destra e mi infilo nel primo corridoio. Mi sento molto rabdomante. L’acqua potrebbe essere vicina. Arrivo quasi in fondo: niente. I fratelli Marx, Lubitsch, Capra, Hawks, Wilder, Allen… Di Simon nemmeno l’ombra. Mi sono illuso. Pazienza. Nel girarmi in quello spazio angusto, sfioro un libro. Cade. Lo afferro al volo e sto per rimetterlo a posto. A quel punto sulla mia sinistra, come per magia, due volumi in brossura, di un azzurro un po’ sbiadito, sembrano guardarmi e strizzarmi l’occhio: Neil Simon Screenplays! Caso? Destino? Fortuna? O “the magic of life”? Ma sì, per una volta passatemi l’ ”americano”. Fa tanto Hollywood.
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Published on e-Stories.org on 08/10/2017.
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