Mauro Montacchiesi

Omaggio al Dio Saturno

Titolo dell’opera
“Omaggio al Dio Saturno”
(Autore: Mauro Montacchiesi)
La presente opera è il risultato di una vasta ricerca documentale adattata secondo la prospettiva dialettica dell’autore.
 
Nota introduttiva
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Collocati ai declivi dei Monti Cimini che svettano a nord-est sovrastando la depressione del Lago di Vico e la spianata di Viterbo e, a sud-ovest, collocati ai declivi dei Monti Sabatini, Sutri ed il relativo circondario costituiscono uno dei maggiormente spettacolari "resort" dell'Etruria Suburbicaria, sia nell'aspetto delle civiltà antiche sia in quello ecologico. La frazione, ubicata sopra un contrafforte fusiforme (costituito, per lo più da materiale vulcanico incoerente, cristallino e vetroso) con il quale si fonde in un'entità unica, compare, ex-abrupto, dal nulla, in virtù, in primis et ante omnia, dei suoi bastioni e dei suoi merli e, a seguire, delle sue mura medievali e delle sue architetture religiose. Sutri, circondata da alti pianori e da profonde vallate irrigate da torrenti, emerge dai plessi inestricabili di una cornice silvestre e ripropone i paesaggi tratteggiati dai giovani cresi dell' Aristocazia britannica, amanti del Grand Tour, a partire dal XVII secolo. Costì non è raro rinvenire opere architettoniche impareggiabili e straordinarie, talora ottimamente preservate, in atteggiamento di provocazione contro i secoli, i quali, nondimeno, ineluttabilmente li smangiano. La Municipalità sutrina ha ottemperato, per il 2010, a tutte le istanze contemplate dal Modello di Analisi Territoriale del Touring Club Italiano, per cui le è stata nuovamente "ratificata" la "Bandiera Arancione". La Bandiera Arancione rappresenta l'etichetta di pregio turistico ecologico per l'Hinterland. A concorrere nella conferma della Bandiera Arancione vanno ricordati: valorizzazione del patrimonio culturale, tutela dell'ambiente, cultura dell'ospitalità, accesso e fruibilità alle e delle risorse, ristorazione, prodotti tipici, etc...
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Cenni storici
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Il più antico nucleo di "Sutrium" fu insediato rasente ad un varco naturale di raccordo tra l'Hinterland dell'Etruria Meridionale e la striscia marina e, contestualmente, a ridosso della direttrice di percorrenza dal Nord della Regione verso Roma. Dalla favorevole ubicazione geografica e dalla reale potestà che poteva vantare su tale tragitto, verosimilmente, Sutrium attinse la propria ragion d'essere e la propria rilevanza che, ad intermittenza, essa vantò fino al Basso Medioevo. Nel tentativo di circoscrivere un periodo di riferimento relativo ai primi insediamenti di Sutrium, va ricordato che, negli anni recenti, sono state effettuate ricerche archeo-paleontologiche che hanno condotto all'individuazione, presso il margine nord del pianoro sutrino, di talune schegge di sostanze da impastatura le quali, vuoi per morfologia, vuoi per decorazioni, lasciano ipotizzare un periodo della più tarda Età del Bronzo Finale (X sec. A.C.). Tra questi reperti vanno ricordati: tombe a fossa e a pozzetto, ceramiche...soprattutto in Località La Ferriera (km 3,5 a sud-est di Sutri, lungo la Via Cassia). Altri reperti databili all'Età del Ferro (VII sec. A.C.) sono stati rinvenuti sui rilievi orografici di Monte Rocca Romana e di Monte Calvi (sette km circa, a sud di Sutri, verso Trevignano). Se da un lato va detto che tali frammenti costituiscono una prova esigua, dall'altro va rammentato che essi sono, tuttavia, l'unica testimonianza di insediamenti antropici protostorici. Tali reperti, nondimeno, non consentono di delineare analiticamente l'iter strutturativo del protoinsediamento antropico. E' da tenere in considerazione la possibilità che la fioritura del centro abitato primordiale, altro non sia che il portato sincretico di più realtà umane che popolavano l'area, le quali, necessitate cogente, nell'impellenza di inusitate possibilità ed istanze di mercato, di difesa e di organizzazione urbana, abbiano quindi mandato ad effetto un processo di "polimerizzazione socio-genetica" tra l'Area Falisca e l'Etruria in senso lato. Anteriormente all'egemonizzazione romana, Sutrium, storiograficamente disquisendo, altro non era che un esiguo centro abitato, scusso di precise rilevanze, aggregato, forse, all'area di influenza falisca o, verosimilmente, etrusco-veiana. Anche per quel che concerne queste due ultime ipotesi mancano, tuttavia, chiari riferimenti letterari e/o archeologici. In occasione dei primi sussulti imperialistici di Roma, ovvero con la capitolazione dell'etrusca Veio, Sutri, in compagnia di Nepi, entrò nella sfera politico-egemonica di Roma, particolarmente per la sua importanza strategico-bellica  e per la sua ubicazione fungente da displuvio con il mondo etrusco-falisco. Posteriormente alla caduta di Veio, quindi, Sutri assunse il ruolo di avamposto di Roma nella conquista dell'Etruria. Nel 390 A.C. i Galli Senoni, guidati da Brenno, saccheggiarono Roma che, indebolita, venne immediatamente attaccata dall'etrusca Tarquinia, la quale assediò ed espugnò Sutri, ma i Romani, molto rapidamente, riconquistarono l'importante centro in virtù della magistrale guida di Furio Camillo. Logisticamente e strategicamente Sutri aveva per l'Urbe una valenza topica. Nel 383 A.C. Sutri venne assurta a Colonia Latina e ciò la trasformò in un odeon di numerose ed interminabili collisioni belliche tra Roma e le Lucumonie etrusche. Tali collisioni giunsero all'epilogo con la risolutiva satellizzazione di Tarquinia (281 A.C.), l'annichilamento di Volsinii (264 A.C.) e di Falerii (241 A.C.). L'epilogo dell'attività bellica sminuì il ruolo di Sutri in quanto avamposto strategico-logistico e ciò, gradualmente, ne catalizzò la metamorfosi in agglomerato agricolo. Le diuturne ed estenuanti guerre avevano verosimilmente prostrato anche Sutri, specialmente per ciò che concerne l'economia. Nel 209 A.C., Sutri ed altri undici cittadine laziali ricusarono gli annuali contributi obbligatori a Roma, che si stava duramente scontrando con  Cartagine (2a Guerra Punica).
Non fu un atteggiamento sedizioso a tutti gli effetti, bensì l'esplosione di un grande malumore germinato dai gravami della guerra in corso. Alcune vestigia archeologiche che caratterizzano l'area suburbana di Sutri, afferenti esigue strutture di base stanziative e lavorative, dimostrano il progressivo fenomeno degli insediamenti permanenti, catalizzato poi, sul tardo III secolo, dall'immigrazione di contadini campani, in virtù di un decreto repubblicano. Lo Storio-geografo greco Strabone (Amasia-Ponto 64-63 A.C. ca.--20 D.C.), fa riferimento a Sutrium come ad una delle più prospere realtà urbane dell'area e, ciò, a posteriori e come portato della sua posizione politica e del suo intervento nello scontro perugino (41-40 A.C.) tra le milizie di Antonio e quelle di Ottaviano. Tuttavia, uno dei principali motivi di questo benessere, va ascritto alla felice ubicazione del centro sulla Via Cassia che, all'epoca, era uno dei precipui percorsi per i mercanti itineranti tra il nord ed il sud della penisola. A margine della Cassia, sempre per motivi commerciali, venne creato un articolato network viario. Testimonianza dell'aumento della popolazione, conseguenza del benessere, viene fornita dalla presenza di un cospicuo anfiteatro e da una notevole necropoli. Anche a posteriori del disfacimento dell'Impero Romano d'Occidente nel 476 D.C., ovvero anche durante il Medioevo, la Cassia seguitò a rappresentare l'elemento topico per quel che concerne il reiterato ruolo di riferimento logistico-strategico di Sutri, quale centro nodale nei rapporti tra Nord Europa e Roma. Al sinodo romano del 465 D.C. risale la nomina di Eusebius, quale primo Vescovo di Sutri. Relativamente al conclusivo consolidamento del Cristianesimo ed alla sua osmosi con il tessuto sociale sutrino, mancano documentazioni inconfutabili. A livello di testimonianza archeologica non va dimenticato che, contiguamente all'odierno camposanto, vennero rinvenute, nel secolo XIII, le vestigia di un ipogeo tufaceo, denominato "di San Giovenale", mutuando tale denominazione da un tempio di culto cristiano, ivi ubicato, oggi svanito nel nulla. Si preserva oggi più o meno il 50% della struttura del cimitero, includente cunicoli e corridoi che risalgono a varie epoche di ingrandimento dell'area tombale, nonché includente camere sepolcrali e loculi. Sutri, entrata nella sfera politica della Chiesa, venne rapidamente implicata negli agoni militari tra Longobardi e Bizantini, il che gettò le basi per un'inusitata dinamica geopolitica dell'area, ratificata quindi dal patto di non belligeranza del 607. Tale patto delineò la dicotomia "Tuscia Romanorum" (litorale e hinterland, ad arrivare alla Via Clodia) e "Tuscia Longobardorum" ( contadi sutrino, volsiniese e falisco). Nel 568 Sutri fu conquistata dai Longobardi di Alboino, ma, successivamente, occupata da Romano, Esarca bizantino di Ravenna. Ed ancora, più tardi, Sutri venne conquistata da Liutprando, Re longobardo, che, nel 728 D.C., ne fece ragalo a Papa Gregorio II, andando così a costituire il primo tassello del Potere Temporale della Chiesa di Roma. Di fatto, tuttavia, non si trattò di una donazione, bensì di una riconsegna del precedentemente maltolto Castellum di Sutrium. Da quel momento in poi andò consolidandosi ed allargandosi il patrimonio fondiario di San Pietro, in virtù, soprattutto, di lasciti, donazioni, acquisti, etc...
Relativamente al periodo che va dal IX al X secolo, non sono giunte documentazioni certe, tali da poter tratteggiare una mappatura attendibile della storia sutrina dell'epoca. Ripetendosi nei secoli la funzione non soltanto di posta postrema sulla Cassia alla volta di Roma, ma anche di funzione logistico-difensiva, la fama di Sutri fu in auge anche per il transito di Vescovi, Monarchi, uomini illustri provenienti dal Nord. Nell'anno 1046, l'Imperatore Enrico III indisse un concilio con sede a Sutri. La scelta di Sutri fu dovuta, verosimilmente, in virtù della consolidata rilevanza geo-politica del centro. A posteriori dell'esautorazione dei Pontefici scissionisti Benedetto IX, Gregorio VI e Silvestro III, al trono di Pietro ascese Clemente II, già Vescovo di Bamberga. Sempre a Sutri, nel 1059, ebbe luogo un successivo concilio, convocato dal Pontefice Nicola II, al fine di esautorare Benedetto X Antipapa. Verso l'epilogo del secolo XI e durante il XII, Sutri rimase implicata nelle logiche autonomiste ed espansioniste delle autorevoli ed influenti Casate dell'Aristocrazia capitolina, cospicue latifondiste nella zona, la cui crescente e machiavellica intrusione negli affari interni della Chiesa ne catalizzò un repentino affralimento politico.
Nel diuturno agone tra Guelfi e Ghibellini o, più semplicemente, "Lotta per le investiture", Sutri si ritrovò reiteratamente a rappresentare l'odeon di accrochage(s) militari e/o di diatribe politiche, il che, di nuovo, ne documentò la rilevanza quale ganglio nodale di un'area in perpetue compenetrazione, fusione, integrazione, ferma restando l'importanza della Cassia, quale rachide esistenziale di un network di vie minori e di tantissimi centri abitati, nati e sviluppati come fibre sinaptiche della stessa Cassia. Correva l'anno 1111 quando, ancora una volta nella Storia, Sutri fu scelta quale luogo di rendez-vous tra Enrico V Re di Germania (che dapprima si alleò con la Chiesa per esautorare il padre Enrico IV e poi riprese la lotta delle investiture contro la stessa Chiesa) e Papa Pasquale II, convegno dal quale germinò un modus vivendi formale di intesa, vergente all'epilogo della lotta per le investiture, da cui la denominazione: Iuramentum Sutrinum. Volendo transitoriamente decontestualizzare la valenza politica dello Iuramentum Sutrinum, tra l'altro tosto dimenticato e disconosciuto nella sua essenza, va sottolineata la rilevanza del documento, se non altro in quanto includente i primi riferimenti oggettivi al centro urbano che era cresciuto nei pressi della Cassia, al di là dei confini dell'antichissimo nucleo romano. Maurizio Burdino (Antipapa Gregorio VIII), nel 1120,  trasformò Sutri in personale piazzaforte, in opposizione a Papa Callisto II. Sutri, prima cinta d'assedio dalle milizie del Cardinale Giovanni di Crema e poi da quelle pontificie, consegnò a queste ultime l'Antipapa Gregorio VIII. Questa serie di lotte fu conclusa in virtù del concordato di Worms (Renania-Palatinato:Germania), stipulato il 23 settembre 1122 tra Callisto II ed Enrico  V. Nel 1140, tuttavia, Sutri venne conquistata da Giovanni degli Anguillara, inconcusso avversario del Pontefice. Pochi anni dopo, nondimeno, il centro tornò nella sfera di influenza di Santa Madre Chiesa. Era l'epoca, in Italia, della nascita e dello sviluppo dei Comuni, ma il forte legame di Sutri con Roma ne inibì l'evoluzione in tal senso. Nel 1146 Sutri fu adottata quale transitorio ostello da Papa Eugenio III, transfuga verso l'Oltralpe a seguito della sedizione del popolo romano ordita e fomentata da Arnaldo da Brescia, le cui ceneri, dopo essere stato più tardi arso vivo, furono disperse nel Tevere, proprio in quel punto che oggi prende il nome di : "Lungotevere Arnaldo da Brescia"! Adriano IV e Federico Barbarossa si diedero convegno a Sutri, nel 1155.  Il nipote di quest'ultimo, Federico II, acuni anni dopo riacutizzò le incomprensioni con la Chiesa e Papa Innocenzo IV fu costretto a riparare nell'apostolica Sutri.
Il borgo ed il castello di Sutri, al comando della guelfa Famiglia Farnese e di Pandolfo degli Anguillara, nel 1264 furono espugnati da Pietro dei Prefetti Di Vice, comandante della fazione ghibellina del Re di Sicilia: Manfredi. Questo fatto d'arme marcò il momento più decisivo, fino al 1356, nell'agone tra la Chiesa ed i Di Vice, per quel che concerne il dominio sui borghi della Tuscia. Nel 1358 fu redatto il primo statuto di Sutri, vale a dire che la città, per la prima volta, era veramente libera. I Di Vice, tuttavia, tentarono una riconquista agli inizi  del '400, ma Sutri ed altre città chiesero protezione ed alleanza politica a Papa Alessandro V. Nel XV secolo, però, Sutri declinò velocemente. Nella logica delle guerre endemiche allo Stato Pontificio, Sutri riprese ad essere proscenio di raid(s) di bande armate ostili al Pontefice e, nel 1433, fu dilaniata e data alle fiamme dallo scellerato "masnadiere", il capitano di ventura Nicolò Fortebraccio. La testimonianza dell'inconfutabile débacle economica e socio-demografica del centro va identificata nella fusione della sede episcopale, nel 1435, con Nepi. Oltre a quanto già citato, il declino fu vieppiù catalizzato dalla Famiglia Farnese, la quale decise di sviluppare sia Ronciglione sia la Via Cimina, che vicariò, di fatto, la ormai secondaria Via Cassia. Sutri, di fatto, era stata privata sia di tutte quelle caratteristiche che nei secoli l'avevano collocata al centro di tutti gli avvenimenti più importanti dello Stato Pontificio sia dell'importanza della Via Cassia. Sutri perse così le sue funzioni sociali, strategiche, di transito e divenne un nucleo sostanzialmente irrilevante nei successivi fatti storici dello Stato Pontificio. Nel XVIII secolo venne conquistata dai Francesi, ma, a seguito della Restaurazione, tornò allo Stato Pontificio e ne condivise la storia fino al Regno d'Italia.
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Sutri e le sue mitologiche ed arcane radici.
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Giusta un remotissimo mito, Chrònos, alias il Dio Saturno, genitore del Pantheon mitologico, fu il primo Sovrano della Saturnia Tellus, ovvero dell'Italia in generale e, del Lazio, in particolare. Saturno si stabilì quindi nel Lazio e vi edificò le città più antiche. Il mito narra che anche Sutri sia stata edificata da Saturno (molto più verosimilmente dai "Pelasgi", antico popolo di navigatori orientali), in Etrusco "Sutrinas", da cui l'etimologia toponomastica della città, acquisendo così l'epiteto di "antichissima"! Nell'emblema araldico di Sutri risalta, invero, Saturno a cavallo che, inguainato il brando, impugna, sollevandolo, un mazzo di biondamente mature ariste, emblema dell'ubertosità e della copiosità di queste contrade. Comunque, è inconfutabile che le radici di Sutri siano antichissime. Verosimilmente, in età immediatamente antecedente agli Etruschi, nell'area esisteva uno stanziamento di cospicua rilevanza, al quale datano i numerosi spechi riconoscibili negli speroni e più tardi riconvertiti in sepolcreti. I sepolcreti, invero, rappresentano uno dei fenomeni archeologici maggiormente rilevanti del Comune viterbese. In ogni dove se ne possono rinvenire, come, ad esempio, sulla Via Cassia, a poca distanza dal centro abitato, collocati in ordine, ma dalle morfologie eccentriche e capricciose.
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Un panorama unico
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Una peculiarità del circondario sutrino si identifica nelle tantissime vestigia, in primis sia dell'alto sia del basso medioevo, che lo costellano, solitarie. Per lo più in ogni dove ci si imbatte, di fatto, in ruderi di piazzaforti, pievi e bastioni e, il tutto, avvolto da una sorta di mesmerizzante, orfica organza. Tra gli autoctoni, sovente, molti asseriscono che l'area sia infestata da sinistre larve di defunti. Un panorama, questo, irrefutabilmente falotico che non può non rievocare la grandezza di SUTRIUM negli scorsi millenni. Un odeon, Sutri, di avvenimenti documentati e/o leggendari, indelebili, che hanno lasciato un patente ed affascinante retaggio socio-culturale. Una prisca tradizione affabula che, poco fuori Sutri, a poco più di un chilometro dalla piazza principale, verso la Capitale, sul lato sinistro della Consolare Cassia, in uno dei numerosi sbancamenti tufacei già avelli etruschi, avvenne la nascita del famoso e leggendario protagonista di epos: il Paladino Orlando, Marchese del Chiaramonte, Conte di Blaye, nonché Gonfaloniere della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Lo speco (una grotta a due ambienti sostenuti da una colonna, verosimilmente tomba etrusca a camera), al quale si ha adito in virtù di un angiporto degradante a valle, risulta tuttora riconoscibile. Giusta l'epopea letteraria, la consuetudine folk e le narrazioni cortesi franco-venete del 1°100, Carlo Magno abiurò e bandì la sorella Berta, perché rimasta incinta del soldato Milone, guerriero prode, ma senza titolo nobiliare. Anche Milone fu messo al bando! Per il valente soldato fu d'uopo avere, per vivere, un nuovo Sovrano da servire e, ricusato da tutti, tentò la via verso Roma, ovvero intese offrire i propri servigi al Pontefice. Nel viaggio verso Roma, Milone e la gestante Berta trovarono momentaneo ostello nella citata grotta e fu lì, in quell'occasione, che Berta partorì Orlando, detto anche Rolando, dal fatto che, un giorno, cadendo e rotolando per un clivo, la madre Berta esclamò: "Oh, le petit roland"! Gli anni corsero veloci ed Orlando, ormai divenuto un giovane florido e vigoroso, fu nominato capo della gioventù di Sutri. Gli venne attribuito l'ufficio di "Re del Carnevale" e si dedicò ad un'esistenza "sans-souci", sino al giorno in cui, a Sutri, arrivarono Carlo Magno ed il suo entourage, di transito verso Roma, dove il Re Franco avrebbe ricevuto la Corona da Imperatore dalle mani del Papa. L'entusiasmo generale intorno a Carlo Magno ed al suo entourage furono enormi e ne rimase contaminato anche Orlando, il quale si affrettò nel farsi notare. Il ragazzo, indossati gli abiti da servo, si insinuò nel convito di Corte e, con repentino magistero, trafugò il calice del Franco Monarca. Il Re non si arrabbiò, anzi, invitò provocatoriamente il ladro a ripetersi il giorno successivo, cosa che avvenne con lo stesso esito. Tornando a casa, comunque, Orlando fu bloccato da tre funzionari reali, i quali riconobbero Berta che si riappacificò con il potente fratello, seguendolo poi in Francia. Carlo Magno cooptò Orlando nel suo entourage e, su istanza dello stesso nipote, anche il di questi fraterno amico, sutrino verace, Oliviero. Orlando ed Oliviero furono innalzati alla dignità di Paladini di Francia e, più tardi, il destino li unì anche nella morte, ovvero nella Battaglia di Roncisvalle contro i Saraceni (778 D.C.). Nondimeno, la liaison franco-sutrina non risulta minimizzabile alla pretta tradizione epica. A cavallo tra l'alto ed il basso medioevo, Sutri rappresentava, invero, una delle precipue soste obbligate sulla Via Francigena, ovvero sulla strada che, identificandosi a tratti con l'attuale SR2 Cassia, metteva in comunicazione Parigi e Roma. Vestigia cospicue di tale relazione permangono pure nella consuetudine tradizionale, la quale ha ascritto, a numerosi dei ruderi che intarsiano il pittoresco panorama sutrino, un'origine transalpina. Si può mentovare, nella fattispecie, il famoso "Castello di Carlo Magno" (inglobato nelle pertinenze della settecentesca Villa Savorelli), le cui radici edilizie non sono tuttora ben note, ovvero il Castello ove si ipotizza sia occorso il rendez-vous tra Carlo Magno ed il Pontefice Leone III. Tuttavia, parecchie delle rovine distinguibili manifestano, ad onor del vero, peculiarità stilistiche francesi, particolarmente di espressione ogivale. Non di rado queste vestigia sono conformi alle peculiarità di altre testimonianze architettoniche di area sutrina, a confermare, se mai ce ne fosse bisogno, una diuturna presenza di artisti francesi, per lo meno per tutto il XIII secolo, nella prefata area. Sovente ed espressamente si è reiteratamente congetturato il transito in situ dei Cavalieri del Tempio, come proverebbe e dimostrerebbe la Cappella di Santa Maria del Tempio. L'esistenza di questa chiesa rievoca, ipso facto, il suggestivo ed esoterico Ordine Templare. Questo Ordine, inoltre (sarà un caso?), in area laziale sembra essere costantemente relazionato a quei siti la cui mitica nascita viene ascritta al Dio Saturno.
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Anfiteatro
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In virtù degli sbancamenti di un poggio di tufo, realizzati tra il 1835 ed il 1838 per iniziativa della Famiglia Savorelli, dopo che era rimasto sepolto per secoli, è stato rinvenuto un imponente e grandioso edificio, divenuto poi il monumento-simbolo della città: l'anfiteatro di Sutri! E' pressoché utopistico risalire all'epoca della sua erezione che, nondimeno, si azzarda ascrivere alla fase imperiale romana (Età Augustea?). Al suo interiore, questo capolavoro di ingegneria architettonica ad icnografia ellissoidale ed a grande effetto scenografico (è dotato di tre ordini di gradinate e poteva contenere fino a cinquemila spettatori, distribuiti su vomitoria e scalinate), presenta alcuni sottopassaggi ad arco. Soltanto uno dei due ingressi voltati sopravvive tuttora. Un complesso di sepolcri dirupati di età romana comprende timpani, piccoli piedritti, camere adibite a "columbaria" per le urne cinerarie (le più rilevanti presentano, esternamente, dei frontoncini incisi) e loculi parietali, ben evidenti sui contrafforti del contiguo Poggio Savorelli (incluso nel Parco Archeologico, preistorico-paesaggistico), molto riconoscibile dalla Via Cassia. Questo sito, inoltre, è ricco in reperti di età pre-romana e romana e non è lontano dall'antica porta di accesso a Sutri: Porta Franceta, alias Porta Vecchia. L'anfiteatro, lasciato esposto all'erosione degli agenti atmosferici, è rivestito di incrostazioni verdastre e gialle, di pianticelle briofite e funghetti. Lateralmente l'anfiteatro è stretto nell'amplesso dei sempreverdi, coriacei lecci e gode dell'ombra delle loro foglie ovali. Si tratta, invero, di uno dei monumenti sutrini più maestosi e seducenti. Il tempo, ovviamente, si fa sentire, soprattutto sui logoratissimi gradoni.
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Mithraeum o Santa Maria del Parto
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Anche il tempietto rupestre della Madonna del Parto è un'opera particolarmente affascinante e sui generis: un sotterraneo collocato alle estremità di un'ulteriore rilievo tufaceo, Poggio Savorelli, fuori dal borgo antico ed in piena area archeologica. L'opera consta di diversi vani: inconfutabilmente tre avelli etruschi ottenuti per sbancamenti del tufo, più tardi collegati e riconvertiti in tempio del Dio Mithra. Ancora evidente è un'incavatura praticata nella pavimentazione pietrosa, incavatura che serviva, nel corso di rituali sincretici e misterici, a far defluire verso l'esterno il sangue del toro immolato alla divinità di importazione iranico-induista. Mithra, nei secoli dell'Impero, si propalò rapidamente a Roma dove, spesso, fu associato al Sol Invictus, ad Helios e/o ad Apollo. Il Mitraismo iniziò ad attecchire nell'Urbe sul finire del I° Secolo A.C., all'epoca di Giulio Cesare. Più tardi fu venerato come "Fautore dell'Impero Romano" e così cantato dalle Legioni. Sul Monte Ararat, in uno speco, da una Vergine veniva partorito il Dio Mithra. Era il 25 dicembre dell'anno 4.000 A.C., circa. I Mithraea iniziarono ad essere edificati per solennizzare ed immortalare l'"Avvento" del Dio, nel nostro Universo, nella "Grotta Cosmica"! Ogni mitreo aveva un responsabile superiore, denominato "Pater". Pure il mitreo sutrino aveva una gerarchia di ministri del culto che, a piedi nudi, praticavano la meditazione trascendentale. Il Pater Supremus di tutti i mitrei dell'Impero, ovvero il "Pater Patrorum" (Pa.Pa.), risiedeva nelle Grotte Vaticane, a Roma. Il Dio Mithra, ovvero il Dio Sole, disponeva di 12 discepoli, tanti quante erano e sono le sue costellazioni zodiacali. Nell'Urbe il "Colosseo" (da non confondere con l'allora inesistente Anfiteatro Flavio) era l'ipostasi del Dio Sole. Il "Colosseo" era un enorme colosso (da cui: colosseo, secondo alcune fonti) di bronzo, più elevato (m.37) ed imponente di quello di Rodi, rivestito di lamelle auree, eretto per ordine di Nerone. Per quel che concerne Sutri, gli iniziati ai Misteri del Culto ricevevano un battesimo d'acqua dal fonte battesimale sul pavimento, per poi ricevere il Battesimo del Fuoco come iniziati al IV livello (nel Mitraismo, dottrina incentrata sulla soteriologia, ovvero sull'opera salvifica del Dio contro le Forze del Male, i livelli di iniziazione erano sette). Il Mithraeum di Sutri fu convertito in tempio cristiano nel IV secolo D.C. ed il Taurobolium mitraico (lapide centrale) fu asportato e successivamente collocato sul muro di un casale, frazione La Botte, a pochi passi dalla Via Cassia. Quindi, il tempio al Dio Mithra venne più tardi riconvertito in sacello alla Madonna del Parto. In virtù di questa trasformazione venne locupletato, nei secoli, di parecchi e rilevanti dipinti (anche a carattere primitivo), come quelli sopra l'ingresso (Pellegrini in cammino verso la grotta di San Michele Arcangelo-Salita al Monte Gargano) e quello sopra l'altare (Il più antico presepe di Sutri). L'affresco rappresenta, invero, la nascita di Gesù ed ancor evidenti sono pure la Sacra Famiglia, il bue e l'asinello, ed ancora: San Cristoforo e il Bambino. Riepilogando: il Sacello della Madonna del Parto, prima di diventare tale, nasce come tomba etrusca e viene più tardi convertito in mitreo romano. Essendo il tempio interamente scavato nel tufo, non vi è nulla, all'esterno, che lasci presagire la presenza della chiesa.
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Villa Savorelli ed il Bosco Sacro
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Edificata sul Colle San Giovanni, sopra una pristina costruzione, nel cuore della cornice mozzafiato del Parco di Sutri (sette ettari), Villa Savorelli, fastosa mansione signorile del '700 (parte del sistema difensivo di Sutri), troneggia da un elevato sperone di pietra (Poggio Savorelli) trapunto, sul piano di appoggio, da diversi incavi di origine etrusco-romana. La Villa fu costruita per iniziativa dei Marchesi Muti-Papazzurri che diventarono, per eredità di Eugenio, epigono della guelfa e nobile Famiglia fiorentina degli Altoviti, proprietari del fondo. Nel 1730, come si evince dagli archivi di Casa Muti, la Villa entrò a far parte del patrimonio della Marchesa Ginevra Muti-Papazzurri. Estintosi il Casato della Marchesa Ginevra, la Villa passò in eredità ai Conti Savorelli, poi in proprietà alla Famiglia Staderini e, a tutt'oggi, al Comune di Sutri. Villa Savorelli (adibita dal Comune ad attività culturali e sociali, nonché a sede degli uffici dei Guardaparchi), a pianta quadrata, che abbonda talora in vani incompatibili tra loro, offre il proprio biglietto da visita grazie ai suoi gradevolissimi giardini all'italiana, i cui vialetti mostrano la direzione verso le vestigia del Castello di Carlo Magno (successiva dimora degli Anguillara) e verso la maestosa Chiesa di Santa Maria del Monte, di discenti del Borromini. I giardini, elegantissimi, si estendono sulla propaggine meridionale del pianoro e presentano siepi di bosso a labirinto, giusta i famosi stereotipi rinascimentali italiani. A renderli ancor più pregevoli concorre una fontana in grigio e macchiettato piperino, con vasca circolare e mostra fregiata con doppia voluta e mascherone centrale, con motivo terminale strobilomorfo, ovvero a pigna. Il prospetto di Villa Savorelli sfoggia una porzione sottostante a scarpa, inglobata nelle bugnature d'angolo, che ripropongono il leit motiv decorativo del portale d'ingresso ed è circoscritto, superiormente, da una doppia cornice convessa, sulla quale posano le paraste angolari e le quattro finestre del primo piano. Un altro piano è marcato da altre quattro finestre, simmetriche a quelle sottostanti. Sopra il cornicione aggettante posa un rialzo a parete piena, glabro, a pilastri angolari e campo centrale, inglobato in mezzo a due coppie di mensole a balaustro, sormontato da un arco pieno a tutto sesto, con specchiature laterali. L'interiore, estremamente rielaborato, è privo di rilievi architettonici. Sul versante opposto il parco subisce una radicale metamorfosi. Avviluppate tra robusti rizomi, alcune vestigia medievali aprono ad un piccolo e semibuio sentiero che mena al pluricentenario bosco di lecci: il Bosco Sacro! Tra il fogliame ovale e scuro di questi lecci, edificata in massi tufosi, svetta una torretta, sempre di età medievale. Procedendo in mezzo alle rigogliose verzure, si approda all'affascinante vista sull'antico anfiteatro che, soltanto da questa prospettiva, può essere ammirato nel suo diorama, ovvero nella sua veduta d'insieme. Quello di Villa Savorelli, rispetto ad altri, può essere considerato un "parco in miniatura", tuttavia rigurgitante di bellezze suggestive che, similmente ad una fatata dimensione atemporale, catturano lo sbigottito osservatore. Il territorio del parco, quindi, si snoda principalmente nella zona circostante a Villa Savorelli, mentre la rimanente porzione, protetta, si identifica in un rilievo collinare a substrato tufaceo, formato per deiezione vulcanica del Cono Sabatino. Benché esiguo nelle sue dimensioni, il parco annoverà una flora alquanto eterogenea: macchie di lecci, ornielli, filliree, viburni, mesofili, cerri, roverelle, aceri, carpini, castagni, noccioli, pioppi, salici...
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La Via Francigena
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Per secoli milioni di "Romei", ovvero di pellegrini diretti a Roma, verso gli avelli ed i siti di tortura dei Santissimi Pietro e Paolo, hanno percorso questa via maestra che iniziava a Canterbury, in Gran Bretagna. Narra la tradizione che fu Sigerico, Arcivescovo di Canterbury, recandosi a Roma, "ad limina petri", in visita a Papa Giovanni XV, a segnare l'inizio del percorso. La Via Francigena era la più rilevante tra le strade che intersecavano l'Europa medievale. La Via Francigena ufficializza la rilevanza del romeaggio nel Medioevo, allorché i pellegrini, anime alla ricerca delle proprie radici religiose e mistiche, non si spostavano soli, ma in ampie comitive. Di conseguenza e parallelamente al romeaggio, la Via Francigena fu altresì percorsa da eserciti e da mercanti itineranti tra l'Europa Settentrionale e la Capitale del Cattolicesimo. Il nome "Francigena" germina dal suo reiterato ed inderogabile uso da parte dei Franchi, ovvero dalla sua funzione di trait-d'union tra la franca Mitteleuropa e l'area mediterranea. Per dare maggiore importanza alla Via ed alla valenza allegorico-penitenziale della sua corvée odeporica, il tragitto veniva effettuato preferibilmente "pedibus calcantibus": a piedi. Questa anabasi era latrice di una coscienza religiosa, nonché di quella di spaziare in seno ad un vastissimo humus dottrinale cosmopolita. Non va obliato che le strade romee in generale e la Francigena in particolare (in virtù del suo amplissimo bacino di utenza), costituivano nel contempo un network di comunicazione e di collegamento, anche nella logica di cospicue transazioni commerciali e di manovre militari. Ergo: queste erano strade di potere politico-militare, di cultura, di economia, di filosofia, di arte, di folklore. Elementi, questi, che ancor oggi le rendono affascinanti. Ma, tra tutte queste strade, va ribadito il ruolo egemonico ed ante litteram della Via Francigena, che ha iniziato a decorare già da allora, senza tema di smentita, l'intarsio della moderna Europa: non è, infatti, errato dire che la Via Francigena ne ha testimoniato la remota e comune semente culturale. La Via Francigena costituiva, invero, un reale plesso stradale, che inglobava spezzoni di vetuste strade romane, in quel tempo ancor utilizzabili, e strade di nuova costruzione.
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Il Centro Storico
 
Edificato in struttura romanica, nel cuore del centro storico sutrino, spicca il Duomo dell'Assunta. Non è da escludere che il tempio sia stato costruito a trasformazione ed integrazione di una base paleocristiana già sostitutiva di un tempio pagano, con successivo intervento, di impronta tardo-barocca, nel XVIII secolo. Gli albori architettonici del Duomo sono testimoniati da due colonne (inglobate nei due pilieri interiori, contigui al presbiterio) a fusto scanalato e capitello fregiato di foglie d'acanto, ovvero da due colonne corinzie. Cospicuo ed icastico, nella navata mediana, è l'impiantito, vale a dire l'intarsio policromo in marmo, di suggestiva perfezione artistica, di Scuola dei medievali Fratelli Cosmati (Italia Centrale-XII-XIV secolo). Nel Duomo è altresì possibile ammirare il "SS.Salvatore Benedicente", su duecentesco legno bizantino. A verso del coro, nell'ambulacro, consacrato all'ex Vescovo di Sutri, poi Papa Pio V, troneggia un altare del XVI secolo. Santa Dolcissima, Patrona di Sutri, è rappresentata da una scultura in legno, opera di discenti di Gian Lorenzo Bernini. Cupo, tuttavia affascinante, è l'ipogeo romanico, con volte a crociera, diviso in otto navate decorate con fastosi capitelli. Questo ipogeo, ubicato sotto l'abside, ed il pavimento cosmatesco, sono le ultime testimonianze della proto-cattedrale, consacrata nel 1207. Altra chiesa sutrina da ricordare è quella di San Silvestro, caratterizzata da un altare ricavato da un sarcofago. Nel vecchio ospedale, che ingloba anche la biblioteca e l'archivio storico, ha sede il Museo del Patrimonium. Nel Museo è possibile ammirare: reperti dall'Età Romana al Rinascimento, numerosi dipinti, lapidari, un ciborio attribuito ad Andrea Bregno, paramenti sacri, un reliquiario di Pio V, un reliquiario di San Liberato, un antico ostensorio. Il Museo ospita anche il codice della "Lombarda Vulgata" (XII secolo), un gonfalone da processione ed un prezioso ornamento di età barocca (paramento pontificale di Santa Dolcissima).
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Sutri e Sant'Antonio Abate
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L'epiteto di "Antichissima" fu conferito a Sutri dal Pontefice Innocenzo III, nel 1198. Il Pontefice la citò come "presente" e "civile" già dal secolo VIII A.C.- Sutri affonda i propri rizomi socio-culturali in un'etnìa indomita ed orgogliosa. Un'etnia solerte ed industriosa che, sin dai tempi più remoti, consacrava corpo e mente all'improbo lavoro dei campi, cogliendone i dolci e meritati frutti, spesso con il ruolo di antesignana delle tecniche di lavorazione e di distribuzione. Sembra quasi scontato, quindi, che i Sutrini attribuiscano tanta importanza ad un Grande Santo, ad un Santo Ecumenico, a Sant'Antonio Abate, Patrono degli animali, di quegli animali che sono la linfa energetica della vita rurale. Circa un secolo fa, così narra la tradizione, Sant'Antonio protesse gli animali di Sutri da un immane flagello epidemico. La Comunità Sutrina ha inteso trasformare in esclusiva la festa del 17 gennaio in onore di Sant'Antonio. Due società, "La Vecchia" e "La Nuova", ciascuna nella propria sfera di competenza, eleggono un "deputato" che, per la circostanza della parata equina, denominata "La Cavalleria", prende in consegna il vessillo con l'icona del Santo. Il cimelio è preservato, ben in vista, nelle singole abitazioni dei due, su pittoresche "arule". Per sette giorni le case dei due deputati devono rimanere aperte, a disposizione di tutti coloro i quali intendano prestare omaggio al Santo e/o rivolgergli una devotissima prece, in cambio, se possibile, di una spontanea elargizione di ciambelle, vino o altre leccornie tipicamente locali. Il 17 gennaio, a Sutri, è possibile rimirare vie guarnite a festa, paludati cavalieri e cavalli che sfilano al cospetto della statua di Sant'Antonio, mentre un prete impartisce la benedizione ed il popolo grida "Viva Sant'Antonio", innescando un indimenticabile vortice di brividi d'emozione che cala profondo nel cuore. Il binomio Sutri-Sant'Antonio trasmette un mistico alone all'ambiente e non si può, a quel punto, non indulgere nella libagione di in un gotto del gustoso ed abbondante vino e/o nella sapida fragranza delle caratteristiche ciambelle di Sant'Antonio, a tutti dispensate. L'ospitalità dei "Festaroli" sutrini è unica al mondo!
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Santa Maria del Tempio*Chiesa Templare
 
La Cappella dei Cavalieri di Malta, Cappella di Santa Maria del Tempio, Chiesa sconsacrata del sommo Ordine Templare, la cui edificazione data, più o meno, al 1°250, è situata sulla Via Francigena. Vi si giunge scendendo verso la Strada Statale N. 2 Cassia, direzione Roma, dopo aver superato Vetralla e Capranica, poco prima del bivio che conduce in Sutri. Giusto sulla strada affiorano le vestigia del quondam stanziamento templare che di questi, infatti, è una delle più cospicue testimonianze. La località di Sutri era una delle tante “submansiones” marcate nei vecchi percorsi della Via Francigena, che in quel tratto fiancheggiava l’itinerario della Via Cassia. Sutri era una sosta obbligatoria per quelli che, di rientro dal Santo Sepolcro, si approntavano a proseguire in direzione del settentrione, girando al largo della malsicura Selva Cimino che, fin dai tempi dell’Antica Roma, infondeva una misteriosa paura. La stanza a Sutri dell’Ordine del Tempio era vincolata al transito dei “Romei” ed alla loro tappa extra-moenia del borgo. La mansione sutrina dell’Ordine Templare, in aggiunta a quella viterbese di Santa Maria in Carbonara, era tra le più topiche dell’area, precipuamente per le grandi proprietà nei territori limitrofi. Sulla scorta della toponimia della zona, è stata riscontrata la presenza di una collina di proprietà dei Templari, chiamata ancor oggi “Poggio del Tempio” e posizionata ad un paio di chilometri ad est del centro abitato. Santa Maria di Sutri disponeva pure di tenute nella circostante contrada ed inconfutabilmente svolgeva il compito di presidio degli attraversamenti dei fiumi. Gli edifici della mansione sono scomparsi. Rimane solo la chiesetta della Madonna del Tempio, sita, appunto, sotto l’abitato di Sutri, sulla Via Cassia. E’ un piccolo edificio privo di interesse dal punto di vista artistico. Rimessa a nuovo nel 2°000 ed attualmente usata come Centro Servizi del Parco, istituito nel 1988, palesa una morfologia architettonica peculiare del Rinascimento. Presenta un esiguo numero di modanature ed ornamenti esteriori. Interiormente, consacrato a Santa Maria del Tempio, è preservato un altare, il solo della chiesa. Una cornice con tre icone divine è sostenuta da una coppia di cherubini senza testa. In mezzo, opera adespota, è situata un’icona mariana con bambino, dai tratti tardo-barocchi. Il mezzobusto dell’Onnipotente, che impartisce la benedizione, è circondato da tre Cherubini, collocati proprio sopra la cornice. Sempre all’interno sono visibili resti di affreschi risalenti a varie epoche. Un piccolo campanile a vela, simile a quello di Santa Maria in Carbonara, è situato sul versante destro della facciata. La proprietà della chiesa, a posteriori dello scioglimento dell’Ordine Templare nel XIV secolo, è stata alienata all’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme (epoca giovannita), similmente alla Commenda della viterbese Santa Maria in Carbonara, di cui sempre è stata un possedimento. A ricordare questo dato vi è una targa marmorea collocata sopra il portale d’ingresso. Vi si legge: “Questa chiesa con i suoi beni appartiene alla Commenda di Santa Maria in Carbonara, di Viterbo, della sacra religione gerosolimitana”. L’iscrizione fu posta dal Cavaliere di Malta, Fra’ Ottavio Quaneredo. Santa Maria del Tempio è pure nota con il nome di  “Chiesa di San Giovanni”, “Chiesa di San Giovanni del Tempio”, “Chiesa dell’Ordine dei Cavalieri di Malta”! Mancano i documenti storici relativi al periodo in cui a Santa Maria di Sutri operavano i Templari. Sotto la gestione giovannita, la Commenda fu dedicata al Patrono San Giovanni, ma si pensa che la sola chiesa rimanesse con l’antico titolo di Santa Maria, dato che ancora oggi viene detta Madonna del Tempio. Scarseggiano anche le notizie di epoca giovannita. Da un documento conservato nell’Archivio dell’Ordine di Malta, a La Valletta, si apprende che, nel 1441, la Commenda di San Giovanni di Sutri dipendeva da quella di Santa Maria in Carbonara ed entrambe erano rette da un unico precettore. Ne da conferma un inventario di questa Commenda, fatto nel 1449, dove si legge che San Giovanni era un suo membro e che in quell’epoca possedeva ancora l’Ospedale e molte proprietà nei dintorni:
 
“…una cappelletta co’ una casa chiamata Lo Spidale nel borgo de Sutrio…
item uno pezo di terra chiamato *al pogio del Tempio”…Item uno pezo di terra chiamato “al piano de Succiano” presso alla via publica…item uno pezo di terra nella valle della prata chiamato “il guado della Mola”.
 
Nell’estratto del processo contro l’Ordine del Tempio, negli Stati della Chiesa vengono elencate, fra le altre, le Chiese templari di Santa Maria in Carbonara di Viterbo e di San Biagio di Vetralla, alle cui porte furono affisse le citazioni con i capi d’accusa.
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Nei paraggi
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L' Oasi Naturalistica di Sapientia è situata nei pressi delle meravigliose attrattive dell'area sutrina e dello stesso borgo di Sutri. Attualmente tutto è sotto tutela del Parco archeologico. Nel Museo dell'Oasi Naturalistica di Sapientia è possibile contemplare duplicati di dinosauri, in resina epossidica e poliestere, ed una rilevante esposizione di minerali allo stato grezzo (provenienti da ogni parte del mondo: rubini, topazi, diamanti), proprio nell'ipogeo di San Giacomo, quattrocentesco monastero già residenza, nel secolo XVI, della Santa Inquisizione. I reperti sono allogati in nicchie ipogeiche che riproducono l'habitat naturale dal quale i minerali sono stati asportati. Nei pressi di Sutri non va dimenticata Caprarola, famosa per il suo prestigioso Palazzo Farnese, fama dovuta anche perché, taluni ambienti che lo compongono sono caratterizzati da singolari fenomeni acustici. Per concludere, ad una manciata di chilometri da Sutri, Blera e Calcata.
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Samantah  (Racconto-Saggio)
 
Domenica 02-10-2005, intorno alle h 19.00, presso il ristorante Ad Sutrinium di Sutri, ho conosciuto Samantah, una donna particolare, una donna eccezionale! La serata era stata organizzata da Roberto ("Romano de Roma" trapiantato a Sutri da una cinquantina di anni), il gestore del locale, e prevedeva un buffet per l'aperitivo e l'antipasto e, alle 19.30, cena a tavola! Il programma comprendeva, inoltre, alle 21.00, uno spettacolo teatrale incentrato sulla farsa romanesca! Maurizio, un comune amico di Samantah e mio, nonché co-protagonista della farsa, aveva preorganizzato i posti del nostro tavolo, proprio per far si che la donna ed io ci conoscessimo! Ho conosciuto Maurizio 4 o 5 anni fa in una serata di Bulli e Pupe (serate organizzate con cena e balli anni ’60)! Questo fenomeno, Bulli e Pupe, è importante proprio ed anche per questo e, cioè, perché consente di spaziare repentinamente da un ambiente all'altro, nonché di acquisire nuove conoscenze ed amicizie! Tutto ciò in felice contraddizione con quei momenti in cui ti sembra che nulla ti possa fornire altre scelte o alternative! Il nostro tavolo era quasi attaccato all'improvvisato palcoscenico, situato sulla mia sinistra! Io ero il capofila del nostro lungo tavolo e Samantah era seduta proprio davanti a me! Il ristorante era gremito! Due cose mi hanno subito disturbato e colpito di Samantah:                                                                                                              
01) i suoi occhiali scuri nella parte superiore delle lenti e chiari in quella inferiore! Ciò vuol dire che lei poteva vedere l'espressione dei miei occhi, ma io non potevo vedere quella dei suoi;
02) fissava ed osservava continuamente la mia postura, i miei movimenti, la mia gesticolazione...
Contestualmente all'arrivo del primo piatto, quasi distrattamente e casualmente, Samantah ha distribuito ai commensali del tavolo alcune brochure contenenti un invito ad una serata da lei organizzata per il successivo e prossimo 31-10-2005. Sulla brochure risaltava in grassetto la scrittura "Ruota dell'anno", che era, che è, il leit motiv, il tema conduttore, delle sue serate! Nessuno di noi sapeva cosa fosse la "Ruota dell'anno "sicché, dietro nostra richiesta, Samantah si affrettò a darcene, in maniera estremamente critica ed anticonformista, una lunga ed esaustiva spiegazione che durò, di fatto, fino alla fine della cena! Prima di narrare ciò che ha detto Samantah, non posso prescindere dal descriverla e, questo, per meglio comprendere la sua personalità e la sua "simbiosi" con la "Ruota dell'anno"! Ovviamente la descrizione che farò di Samantah scaturisce da più fonti: l'impressione epidermica che ho avuto al primo impatto, le testimonianze di terzi avvenute successivamente e le mie stesse impressioni maturate conoscendola meglio! Samantah gestisce due attività commerciali: un negozio di Spagyria (applicazione dell’alchimia alla produzione delle medicine) in viale Europa all'Eur ed un negozio di esoterismo a piazza delle Muse ai Parioli, entrambi a Roma. Veste quasi sempre con dei colori tendenti al blu, al violetto, al nero ed indossa monili con ciondoli di zaffiro blu, perchè, a suo dire, questo colore e questa pietra le riequilibrano il sistema nervoso e le danno serenità! Il suo profumo preferito è il mughetto, il più tenero dei fiori, che rievoca i prati primaverili imperlati di fresca rugiada! Adora il suo bouquet unico e dolce che resiste nel tempo! Il mughetto, sempre a suo dire, le trasmette ottimismo e le purifica lo spirito! Girare per il mondo, esplorare, per Samantah è inconfutabilmente un'esigenza esistenziale! Pressata dalla sua generosa umanità, è sempre pronta a prendere parte a trasferte filantropiche, laddove c'è necessità di supporto ed assistenza alle genti più bisognose! Lo stesso zelo profonde aderendo personalmente, finanziariamente e fisicamente ai problemi collegati all'ecosistema! Le sue ferie preferisce passarle lontano dall'Italia, in luoghi dove può venire a contatto con civiltà radicalmente diverse dalla sua! Ad esempio, lo scorso anno 2006, ha effettuato un viaggio di circa due mesi, aprile-maggio, nello Yucatan ( da "yectean"= "non capisco", risposta che gli indigeni davano agli invasori di lingua spagnola), per entrare in contatto e vivere personalmente i residui della Civiltà Maya! Ha compiuto un giro stupendo: Palenque, Piedras Negras, Isla de Jaina, Uxmal, la Città Santa di Chichèn Itzà, Tikàl, Copàn, etc. Questi Indios autoctoni preservano tuttora, particolarmente tra i gruppi meno evoluti, il folklore e le consuetudini degli originari Maya dai quali derivano! Samantah asserisce, ma è una sua teoria personale, che la Cultura Maya ha molti elementi originali in comune con le antiche Civiltà del Mediterraneo! Questo l'ha indotta a dar credito al concetto di "Pangea", ovvero di un monoblocco della crosta terrestre esistente milioni di anni fa! L'esistenza di una pangea avrebbe permesso lo scambio di civiltà e cultura tra molti popoli della terra! Nei nostri successivi incontri ha citato più volte alcuni esempi:
01) la loro complessa scrittura ideografico-geroglifica, non ancora decifrata (Egitto);
02) la loro struttura politica che si realizzava in città-stato (Grecia);
03) la loro struttura sociale che prevedeva una gerarchia sacerdotale, una gerarchia nobiliare-guerriera,
il popolo e gli schiavi (Egitto; Assiro-Babilonesi);)
04) il popolo era diviso in clan (Celti);
05) i sacrifici umani ( sacrifici umani in onore dei Baal-Ammon a Cartagine o sul Monte Zaphon a nord di Ugarit in Fenicia);
06) la loro religione si identificava in un politeismo naturalistico e si concentrava, soprattutto, su tre divinità: il Dio solare Itzamna (Horus-sole che nasce) figlio del Dio-sole Hunab (Osiride-sole che muore) e della Dea-luna Ixchel (Iside-la luna) (Egitto);
07) la loro grande evoluzione in campo matematico, astronomico (eclissi lunari; calendario di 365 giorni; complessi calcoli astronomici) e astrologico (oroscopo maya) (bacino del Mediterraneo orientale);
08) le piramidi, molto simili, se non addirittura fotocopie, a quella di Saqqara del faraone Gioser ed altrettanto simili alla ziggurat di Chogha Zanbil, in Iran;
09) la Gran Plaza (agorà greche e/o fori latini);
10) le stele ed i mosaici (Grecia, Asia Minore, Egitto);
11) l'arte ceramica, che sembra ricalcare prototipi cinesi...
Samantah, comunque, che grazie alla sua apertura mentale non esprime mai giudizi assolutistici di condanna, per par condicio si è chiesta fino a che punto, pur mantenendo un grande rispetto per la Civiltà Maya, gli Spagnoli siano da ritenere crudeli e sanguinari, laddove hanno trovato fenomeni sociali impostati sulla schiavitù e sui sacrifici umani! I Maya vennero sovrapposti nel IX secolo dai Toltechi e questi, a loro volta, vennero sovrapposti dagli Aztechi provenienti dalla più settentrionale Aztlan "terra del sole e degli aironi"! Gli Aztechi, che costituivano la maggioranza delle popolazioni dello Yucatan all'arrivo degli Spagnoli, erano bellicose tribù nomadi che depredavano ed assoggettavano i popoli che incontravano sul loro cammino! Erano guerrieri e le loro guerre erano delle effettive campagne di rapina e saccheggio! Pretendevano tributi umani da offrire in sacrificio al Dio-sole! Dai popoli sottomessi esigevano, in cambio del rispetto della loro identità culturale e religiosa, dei forti tributi di altra e variegata natura! Il potere era autoritario, teocratico e si autoproteggeva grazie a delle forti guarnigioni militari! Basti pensare a Jaguar Paw (Artiglio di giaguaro), il protagonista del film Apocalypto di Mel Gibson! Jaguar Paw viene scelto dai capi del suo villaggio come vittima sacrificale e strappato alla moglie Seven ed al figlio! Riesce a scappare e viene inseguito! Il protagonista tenterà di riunirsi alla famiglia e di vendicarsi dei suoi sanguinari capi, nel desiderio di riportare pace e giustizia tra il suo popolo!
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Secondo l'errata interpretazione di un vaticinio astrologico dei Maya, precise clessidre del sistema solare, vale a dire inconfutabili custodi e signori del computo del tempo, nel 2012 dovrebbe avvenire la fine del mondo. In realtà ciò che avverrà sarà la fine di un'Era (Era dei Pesci) e l'inizio di un'altra Era (Era dell'Acquario). Giusta la teoria di alcuni studiosi, i primi prodromi dell'avvento dell'Era dell'Acquario vanno ricondotti al rinvenimento del 1947, dei "Rotoli del Mar Morto" (Vangeli Apocrifi) dentro un'anfora, emblema del segno astrologico dell'Acquario. Per poter congetturare quali saranno gli effetti dell'Era dell'Acquario, sul pianeta e sul genere umano, è prioritariamente d'uopo comprendere cosa significa "Era" e cosa significa "Acquario"! Astrologicamente parlando, un' "Era" corrisponde ad un periodo di 2160 anni, vale a dire al tempo indispensabile al Punto Vernale dell'Eclittica (punto equinoziale di primavera) per percorrere un segno zodiacale del Grande Anno Platonico, dove ogni grado equivale a 72 anni terrestri. Il Grande Anno Platonico altro non è che il tempo impiegato dalla Terra (25.868-25.920 anni) per percorrere, in moto "retrogrado", i dodici segni zodiacali. Tali spostamenti si definiscono: "Precessione degli equinozi"! "Retrogrado": in Astrologia dicesi di pianeta, allorché un'illusione ottica fa si che l'osservatore dal pianeta Terra abbia la sensazione che il pianeta stia andando indietro invece che in avanti, soprattutto quando viene sorpassato da pianeti più veloci. Ancora, è "retrograda" la Precessione degli Equinozi. Per maggiore chiarezza, come nel nostro caso, la domanda più frequente è: -Ma se dopo il segno dei Pesci viene il segno dell'Ariete, perché andiamo in Acquario? Semplice! In Astronomia si ha una visione "eliocentrica" del Creato! In Astrologia si ha una visione "Geocentrica", per cui i segni cardinali sono ribaltati, esempio: il nord è il sud e viceversa-l'est è l'ovest e viceversa! Lo Zodiaco (dal greco "zo-ion=animale" e "diakos-kiklos=cerchio") è un cerchio di 360 gradi. I segni zodiacali sono 12 e, di conseguenza, ciascuno di essi occupa 30 gradi (30x12=360). Il Punto Vernale dell'Eclittica, omologabile soltanto per convenzione e praticità descrittiva con il punto estremo di sinistra dell'equatore terrestre, si sposta di un grado ogni 72 anni. Ciò vuol dire che, per transitare nell'intera estensione di un segno zodiacale, impiega 30 (i gradi) x 72 (anni necessari per percorrere un grado) = 2.160. La Terra era entrata nell'Era dei Pesci nel 148 A.C., se ne deduce che (-148)+(+2.160)= +2.012, inizio dell'Era dell'Acquario. Per calcolare il Grande Anno Platonico avremo, quindi: 12 (i segni zodiacali) x 30 (i gradi di un segno) x 72 (anni necessari al Punto Vernale per percorrere un grado) = 25.920. Questo vuol dire che il Punto Vernale, e di conseguenza l'asse terrestre, impiega 25.920 anni per tornare al punto di partenza, in un moto perpetuo, originando così le glaciazioni. Per fare un esempio, semplice ma concreto, nel 2012 la posizione di Roma (ma di qualsiasi punto della Terra), relativamente al Sole, avrà subito uno scarto di 30 gradi rispettivamente al 148 A.C., ecco perché si assiste a mutamenti climatici, fermo restando che possano esistere altri co-agenti atti a catalizzare il fenomeno. Bene, ora che abbiamo compreso il concetto di "Era", possiamo passare al concetto di "Acquario"! Per conoscere, seppur molto sinteticamente, il concetto di "Acquario", dobbiamo conoscere i suoi due pianeti dominanti: Saturno ed Urano. Soltanto così potremo teorizzare quelli che saranno gli influssi sul pianeta e sull'umanità nei prossimi 2.160 anni.
 
Saturno
 
Saturno è un pianeta neutro che governa l'Acquario nel suo domicilio diurno e il Capricorno nel suo domicilio notturno. Le sue caratteristiche concernono il tempo, i cicli del divenire, il sapere, la logica, il freddo calcolo...Saturno contrappone l'individuo nella sua singolarità ed il Genere Umano nella sua molteplicità, alle situazioni più difficili della vita (periodicità e defettibilità), agendo così coattivamente, grazie a delle vere e proprie ordalie esistenziali, nella logica di una strutturazione animica e caratteriale, nella logica di un'emancipazione da ogni cosa che sia diventata zavorra o ostacolo verso l'evoluzione personale. Saturno è il risveglio dall'ignoranza. Saturno è la morte che apre ad una nuova vita, ad un livello superiore.
 
Urano
 
Dal Greco "Ouranòs"= "Cielo"! E' il pianeta della totale emancipazione, della singolarità, dell'eccentricità, della rivoluzione. E' un pianeta sui generis a tutti gli effetti, l'unico sempre retrogrado. Urano è creatività, autonomia, originalità. viene speso associato al mito di prometeo, colui il quale ardì mettersi in competizione con gli Dei dell'Olimpo, desideroso di veicolare il Sapere al Genere Umano. E lo stesso Sapere, Urano-Prometeo, intende trasmetterlo all'Acquario come nativo del segno ed alla intera Umanità con l'avvento della sua Era. Urano è genio, modernità, progresso, distacco dal passato. Urano, tuttavia, è anche CHAOS. Il CHAOS è una fase interlocutoria in cui, in un sistema, deflagrano i vecchi schemi, per lasciare il posto ai nuovi. Il CHAOS è rottura con il passato, verso un futuro molto più evoluto, verso una nuova struttura. Sulla scorta di quanto enunciato, possiamo ventilare che il 2012 sarà l'anno dell'Apocalisse, ma non nell'accezione nefastamente ascrittale. Apocalisse, dal Greco "Apokàlypsis", composto dal prefisso "Apo-"="Caduta"+"Kalyptein"="Nascondere, Coprire", vale a dire: "caduta della copertura, rivelazione". Apocalisse è rimuovere la cortina che obbliga a vivere nelle ombre della Caverna Platonica. Per il singolo individuo, Apocalisse significa il dischiudersi dei "Sette Sigilli" o "Sette Chakra", "Apertura del terzo occhio", "Illuminazione"!
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Stravagante ed eccentrica, libera ed incondizionata, estroversa e genialmente brillante, Samantah è una donna che guarda sempre in direzione dell'avvenire, dell’indagine e dell'invenzione! Persuasa paladina di auliche cause filantropiche, odia la grettezza e la falsità ed i suoi impulsi caritatevoli le attirano l'apprezzamento e l'amicizia di tutti coloro che le gravitano intorno! Spesso la identifico nel Comandante Kirk, dell'Enterprise di Star Trek! Una bohémienne dello spazio! I ricordi antichi ed il conformismo non la riguardano a titolo personale, bensì storico e culturale! La sua anima è proiettata in direzione dei limiti ed oltre i limiti del cosmo e degli spazi temporali! I suoi credo sono sempre le relazioni, l'amore fraterno e la solidarietà! Aborrisce la meschinità, l'ipocrisia e l'individualismo esasperato! E' una donna di vaste speculazioni e spesso si cala nel personaggio della progressista radicale dalle idee avanguardiste! E' inutile dire che spesso non viene compresa nell'immediato e, di conseguenza, che viene considerata stravagante! Predilige tutto ciò che trascende le regole del conformismo, talché è attratta da tutto ciò che spezza le regole dell'ambito umano, dell'estro creativo, dei nuovi teoremi filosofici...Non sa che cosa sia la presunzione, l’irritabilità, la taccagneria, il doppio gioco, pur essendo molto capace di ricavare profitto da un contesto che le appaia appetibile! Le sue relazioni umane non conoscono l'ovvio e l'ordinario, al contrario sono immancabilmente e mentalmente stimolanti, produttive! Vigile ed inattaccabile custode della sua libertà è, parimenti, corretta ed osservante di quella del prossimo! Questo senso di fratellanza istintiva la induce sovente a dar corpo ad un sentimento di ribellione contro le iniquità della vita! L'eterogenea galassia del cambiamento produce su Samantah una seduzione fortissima, e questo non esclude la sfera amorosa! La sua anima indipendente ed originale è incline a relazioni impensabili con soggetti estremamente dissimili da lei e tra loro stessi! Al primo impatto sembra una persona non complessa ed istintiva, ma di fatto è difficile da interpretare! E' difficile comprendere cosa le frulla in mente ed è sempre impegnata in qualcosa! Tuttavia, le cose che la intrigano maggiormente sono: la ragione, l'interazione intellettuale, gli incontri-scontri mentali che rinnovano e creano il rapporto sentimentale quotidianamente con ardore e passione! Gli stereotipi della collettività massificata e le regole etiche che vincolano un uomo ed una donna con la scusa dell'amore, a lei appaiono come subdoli ed illusoriamente ingannevoli! Ciò che per lei è importante, per contro, è l'istinto dell'attimo, l'impulso autentico, l'energia che si sprigiona tra due anime, tra due corpi che si attirano, privi di preclusioni e complessi! La corte e le lusinghe amorose costituiscono per lei il momento più magico del rapporto sentimentale! In ogni nuova relazione profonde un grande ardore, si trasforma nella donna più zuccherosa, più tenera e schiude ai suoi uomini un universo favolosamente straordinario! Però, soddisfatta la curiosità derivante dal nuovo amore, la sua necessità di indipendenza ritorna prepotente! Un suggerimento a chi desidera farle il filo: sarà sufficiente lasciarle intendere senza ambiguità  e senza trucchi i propositi personali e sarà lei a creare e favorire le condizioni per concretizzare! La cosa più essenziale è evitare di cadere nell'ovvio, nel cliché e nella gelosia! La sua nozione di lealtà sentimentale permette al compagno una vasta possibilità di autonomia, sicché, come le è capitato una volta, davanti ad un ex compagno reo confesso di infedeltà, dimostra benevole umanità ed indulgenza! In un altro caso, però, in cui un altro ex compagno le ha nascosto le proprie scappatelle, è esplosa come una bomba! Ma ora voglio descrivere, sommariamente, una delle sue serate, che si svolgono sempre presso la struttura di Oasi di Saturno, un agriturismo molto chic che si trova a Sutri, a metà strada tra la Via Cassia e Via delle Cassie. La serata in questione è quella di Litha, del solstizio d’estate, della festa di Mid Summer o Mezz’Estate. E’ la fase dell’anno della simbiosi prolifica tra Cielo e Terra, fase di perfezionamento, liturgia del fuoco e della gioia. E’ una liturgia di servizio e condivisione. Viviamo in surplace tra la luce del sole (il visibile) e le energie delle tenebre (l’invisibile). E’ un momento di grazia e di equilibrio. Litha è uno degli otto sabbath maggiori della Ruota dell’anno. In questo giorno, conosciuto come il più lungo dell’anno, il sole culmina allo zenith, ovvero si trova nel punto più alto della volta celeste. Le giornate solstiziali nelle tradizioni precristiane erano sacre ed ancora oggi ciò si riflette in una festività cattolica che cade qualche giorno dopo il solstizio canonico, al 24 giugno, quando nel calendario liturgico della chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista. Quando, verso le 20,00, sono arrivato, era in corso un concerto per solo violino: brani dai 24 Capricci di Niccolò Paganini, il compositore preferito di Samantah. L’esecutore ha dimostrato, a mio avviso, un originalissimo estro nei suoi virtuosismi e nel fascino del suono del suo violino, infondendo la stregonesca suggestione propria di Paganini. Nelle altre stanze c’era invece una mostra di riproduzioni del pittore russo Marc Chagall, il pittore preferito di Samantah. Chagall fu il pittore del fantastico, del paradosso, del sogno, del ricordo, della rievocazione e del simbolismo. Tra le opere esposte: Anime Morte di Gogol, Favole di La Fontaine e, neanche a farlo apposta, Il violinista verde e Sogno di una notte di mezza estate. All’aperto, invece, un’astronoma munita di telescopio, invitava all’osservazione del cielo, dando spiegazioni scientifiche. Quella sera Giove era particolarmente visibile, in tutto il suo chiaro fulgore screziato di strisce rosso mattone. Ed ancora all’aperto, uno spettacolo di quattro giovani ragazze, che interpretavano i ruoli di “streghe”, di quel periodo in cui una donna, per il semplice fatto di avere una voglia rossa su una mano, era messa prima all’indice e poi al rogo, come strega. Poco più in là, la possibilità di farsi predire il futuro attraverso la molibdomanzia, similmente al Medioevo, quando un’arte divinatoria congenere era impiegata dagli alchimisti, colando in acqua fredda piombo o stagno fusi. I due metalli, liquefatti, si solidificavano velocemente strutturandosi in forme che il vaticinatore leggeva in base alle tavole delle predizioni. Simile procedura fu chiamata molibdomanzia sul finir del XVIII secolo, mutuando la denominazione da un metallo rinvenuto dal mineralogista Hielm: il molibdeno. Questo metallo duttile, grigio-argenteo, solido, pressoché non fusibile e costituito di piombo, venne quindi impiegato in fusione e collocato nell’acqua fredda a scopi di predizione, principalmente per la sua duttilità. Ed ancora, per gli amanti della divinazione, le Rune celtiche. Le Rune sono state impiegate come sistema di vaticinio fin dai tempi più remoti, precipuamente in area gotica, presso i Celti, presso le tribù teutoniche e presso quelle settentrionali, per vaticini e liturgie varie, anche curative. In seguito, consolidandosi il Cristianesimo, le Rune furono paganizzate ed abolite. Runa in gotico, significa “segreto mormorato” (in tedesco RAUNEN-mormorare) e , da lì, arcano, sortilegio, mistero. Invero, il loro impiego è stato sempre trasmesso verbalmente. I caratteri erano sovente disegnati e colorati su pietre, amuleti, pugnali, ecc…Ai nostri tempi l’uso delle Rune in quanto sistema divinatorio, si sta diffondendo sempre di più. La cena, all’interno, era costituita da un vastissimo buffet, ovviamente di menù celtico. Alcune loro specialità generiche nell’intero arco dell’anno: lumache (le loro corna simboleggiavano il male e mangiarle facendo rumore, ai tempi nostri i botti di fine anno, costituiva un esorcismo), confettura di mele cotogne per accompagnare maiale e cinghiale, Cognà (mosto d’uva, confettura di mele, di pere, di nocciole, di noci) per accompagnare il bollito, vino (una sorta di nebbiolo simile al Lambrusco), Idromele (bevanda sacra per eccellenza, si pensa all’ambrosia citata nei miti greci), birra, gallina, orzo, miglio, ecc…Dopo il buffet, consumato a tavola, fuochi (purificazione), danze (esorcismo) e rituali (liturgia) celtici. Ma chi erano i Celti? La risposta a questa domanda, premessa necessaria alla Ruota dell’anno, l’ha data Samantah durante la cena del 02-10-2005, presso il ristorante Ad Sutrinium, di Sutri:-I Celti erano una variegata etnia iafetica stabilitasi all’incirca 2000 anni prima di Cristo, tra l’est della Francia attuale ed il bacino settentrionale del Danubio. Propalatori nell’intero continente della civiltà del ferro, tra il VII-VI sec. A.C. (Cultura di Hallstatt), superato il Reno colonizzarono il Belgio e gran parte della Francia, restando però, il Danubio settentrionale, il fulcro della loro civiltà. La “colonizzazione” si allargò a sud-ovest su tutta la penisola iberica e a nord-ovest sulla Gran Bretagna. Bisogna comunque aspettare il V secolo a.C. per veder concretizzata una civiltà integralmente celtica. Questa civiltà ebbe in La Tène (Svizzera) il suo fulcro e si estese fino alla Marna, allo Champagne ed al bacino centrale del Reno. Questa civiltà fu egemone su gran parte del continente ed iniziò scambi con popolazioni mediterranee. La cultura e l’economia furono particolarmente fiorenti in questa fase storica. Agli inizi del IV secolo a.C. i Celti iniziarono un movimento nomade di massa e giunsero a Roma (390 a.C.: presa di Roma da parte di Brenno), successivamente assoggettarono alcune popolazioni illiriche nei Balcani ed infine con il nome di Galati, si insediarono in Asia Minore. La tribù era l’elemento portante della società dei Celti. La tribù era governata da un sovrano e costituita da più clan, costituiti, a loro volta, da più famiglie. La tribù gestiva, spesso, un territorio alquanto ampio, articolato in molti stanziamenti. Uno di questi stanziamenti veniva, di comune accordo, eletto a sito di protezione di tutta la comunità, a sito di mercato e scambio commerciale ed a sito di culto. L’organizzazione in tribù, influenzata dalla classe dei guerrieri, impedì la creazione di una forte federazione dipendente da un unico monarca e, di conseguenza, la creazione di un impero. La diffusione nel continente terminò intorno al 150 a.C., a causa dell’astro nascente di Roma e della spinta dei popoli provenienti da est, per lo più germanici. I Celti tendevano alla fusione con gli altri popoli, piuttosto che alla guerra. Soltanto uno stanziamento celtico in Europa, conservò inalterati i tratti culturali, grazie soprattutto alle saghe: gli Scoti-Gaeli nelle isole della Gran Bretagna. Nel 410 d. C., una parte di questi, cominciando a scricchiolare l’Impero Romano, fu costretta dagli Angli ad un esodo in Bretagna. I Gaeli, nonostante l’avvento di Vichinghi, Norvegesi, Danesi e Normanni, mantennero le loro tradizioni culturali e, questo, pure in virtù di una pronta presenza della Chiesa di Roma in Irlanda, paese che, oggi, è il solo a maggioranza di ceppo celtico.
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La Ruota dell’anno
 
In parecchi culti del neopaganesimo, la Ruota dell’anno raffigura il succedersi delle quattro stagioni, celebrato dalla liturgia di otto sabbath. Stando ai culti neopagani, gli eventi naturali hanno un ciclo ripetitivo, incluso il fluire del tempo, raffigurato simile ad una ruota che, senza sosta, continua a girare. L’eterno fluire delle quattro stagioni ha ripercussioni sulla nostra esistenza: venire al mondo, diventare adulto, invecchiare, lasciare il mondo. I sabbath, otto, marcano le soste da effettuare nella Ruota dell’anno e sono l’emblema dello stesso numero di soste dell’esistenza del Dio, che, partorito dalla Dea, sviluppa fino alla fase adulta, copula incestuosamente con la Dea-Madre, governa come un sovrano nel periodo estivo, invecchia e muore, così marcando l’incipit di un nuovo ciclo. I sabbath si distinguono in quattro maggiori e quattro minori. Per prassi culturale avevano un estensione temporale di tre giorni, iniziando dal vespro serale del primo giorno, invero, nella tradizione celtica, era al vespro serale che iniziava il nuovo giorno. Vediamo le date dei maggiori: Samhain 31 ottobre-Imbolc 2 febbraio-Beltane 1 maggio-Lughnasadh 1 agosto). Tali considerazioni astronomiche, relative all’età del ferro, ai nostri tempi non sono più uguali, a cagione del risultato sinergico delle nutazioni (piccolo spostamento angolare dell’asse di rotazione terrestre) e delle precessioni (leggero anticipo annuo degli equinozi, dovuto al piano dell’equatore rispetto a quello dell’ellittica, in seguito al movimento per cui l’asse terrestre descrive un cono in senso contrario a quello della rotazione della terra). I quattro minori sono: Yule 21 dicembre-Ostara 21 marzo-Litha 21 giugno-Mabon 21 settembre, con riferimento agli equinozi ed ai solstizi. Tra alcune feste cristiane ed i sabbath, esistono evidenti punti in comune. C’è da pensare che alcune date fissate per le celebrazioni cristiane, siano state adottate per depaganizzare certe aree. E’ necessario, ad ogni modo, rammentarsi che talune ricorrenze cristiane sono nate in area mediterranea, al contrario dei sabbath, di moda in Europa centro-settentrionale. La matrice iafetica di Greci e Latini, comune a quella di Germani e Celti, deve far riflettere sull’eventuale comune origine dei culti, anche se oggi inconciliabilmente diversi.
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Ed ancora sui sabbath: E’necessario liberarci la mente da tutti i pregiudizi creati in merito. Il demonio non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Non ci sono pedo-fagismo, usurpazioni di chiese o avelli, liturgie demoniache, ecc…Queste antiche festività pagane sono state sovrapposte da quelle cattoliche, al fine di favorire l’evangelizzazione delle popolazioni e la cancellazione degli antichi culti. Ma questa opera non ha avuto un successo completo. In molte sagre rurali dell’Italia, soprattutto settentrionale, si possono ancora riscontrare particolarità di antiche liturgie camuffate, sicuramente, sotto il maquillage del cattolicesimo. Il sabbath è celebrazione, esistenza, felicità, oro solare e argento lunare. E’ la festa delle stagioni, della campagna, della divinità, dei fiori, delle piante. Si mangia, si balla, si canta, si riflette, si prega.
-Samhain-Halloween
31 ottobre. Il primo sabbath in ordine cronologico. Cosa vuol dire "halloween", questa parola astrusa che sembra rievocare il demonio? Vuol dire esattamente il contrario! La parola è Inglese puro. Infatti "hallow", che vuol dire "santo", è la radice di ceppo germanico corrispondente al sinonimo "saint", di ceppo latino. "een" è la contrazione della parola inglese "even", sinonimo poetico di "evening", cioè "sera". Nell'Inglese popolare colloquiale, spesso la "V" in mezzo a due "E" cade, vale a dire che "een", come in taluni casi, si dovrebbe scrivere "e'en", laddove l'apostrofo sostituisce la "V". Ne risulta, dunque, che "halloween" significa "sera santa, Vigilia". Halloween è il capodanno dei pagani. Per i Celti l’estate è terminata e l’inverno comincia. Celebrazione dell’ultimo raccolto, ovvero il terzo. In alcune tradizioni la Dea cade nel sonno ed il Dio assume il potere. Ma è inverno ed il Dio, stanco, pare morire. Insieme a lui pure la natura pare morire, per ridestarsi a primavera insieme alla Dea. In altre culture, la Dea non dorme, bensì cala nel cuore della terra, rifuggendo la luce ed assumendo il volto tetro, peculiare della stagione fredda. Secondo altre culture, invece, in questo periodo muore il Dio, che rifiorirà a Yule, 21 dicembre, partorito dalla Dea. Samhain è una fase di meditazione, distacco da tutto ciò che è antico e proiezione verso il futuro. Si deve fare una pausa, si deve meditare su ciò che è stato realizzato nel tempo appena passato e su ciò che si vorrà fare. Similmente alla natura, pure noi cadremo nel sonno, per recuperare le energie che ci serviranno per il nuovo ciclo. Nelle ore di transizione tra il 31 di ottobre ed il 1 novembre, le distanze tra le dimensioni “scompaiono” e l’incontro tra esse è possibile. Per questo motivo, anticamente, si pensava che in queste ore le anime dei morti ricomparissero sulla terra, per rivedere i vivi. Le luci e le lanterne che un tempo si mettevano fuori dell’uscio, servivano ad illuminare la strada ai defunti.
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-Yule-Saturnalia
21-24 dicembre. Uno dei 4 sabbath minori. Solstizio d’inverno. Coincide con il Natale dei Cristiani, che fu istituito il 25 dicembre dell’anno 395. In questa data i Romani festeggiavano il Sol Invictus (vedasi omologie e corrispondenze con il Mitraismo). Iniziò così un “sincretismo” di cerimonie e simbologie catto-pagane. L’agrifoglio, le ghirlande, l’abete sono di origine celtico-pagana. L’abete è il simbolo della Dea-Madre. La ghirlanda è il simbolo della Ruota dell’anno. L’agrifoglio era una pianta sacra per i Celti e ben augurale per i Romani. Il Dio muore e rinasce quasi contemporaneamente. Secondo alcune culture celtiche (ricordo che usanze e tradizioni variavano molto, data la grandissima estensione dell’area di colonizzazione), in questo giorno il Dio espletava una “catabasi”, ovvero calava agli inferi. Li incontrava la Dea-Madre che si risvegliava e si consumava l’incesto che avrebbe prodotto il nuovo Dio. All’epoca era tradizione accendere dei falò, al fine di esortare il sole ad irradiar nuova luce.
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-Imbolc-Candelora
2 febbraio. Le parole simbolo di questa festività sono: rinnovamento e purificazione. Per i Celti segnava la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. I Celti ricominciavano a vivere all’aperto. Finiva il letargo per alcune specie animali e alcune gemme iniziavano a spuntare dal suolo e dagli alberi. E’ la festa del ritorno della luce. La natura, e quindi la Dea, si desta dal torpore invernale. Molte sono le streghe wicca (la stregoneria wicca è una religione basata sulla natura e sulla difesa della vita che nulla ha a che vedere con il demonio) che celebrano la Dea-Madre, che assume più nomi come, ad esempio: Dea Brigid, la Santa Brigida dei Cattolici, da cui deriva Brixia, Brescia (città di origine celtica, come molte dell’Italia Settentrionale). Nuove candele vengono preparate e consacrate per la loro utilizzazione nell’anno a venire. Si pulisce a fondo la casa (pulizie di primavera?), si tolgono polvere ed aria stantia. Ci si deve purificare per l’anno che viene.
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-Ostara-Primiera
21 marzo. Uno dei quattro sabbath minori. Equinozio di primavera. Si festeggia la rinascita della fecondità della terra. Gli insetti, spargendo il polline, fecondano i fiori. Festa di fidanzamento tra la Dea ancora illibata ed il Dio, preludio all’unione di Calendimaggio. Anticamente si coloravano le uova e si donavano come simbolo di ricchezza e di abbondanza (di qui il cattolico uovo di Pasqua). Dal nome celtico di Ostara, derivano la parola inglese Easter e quella tedesca Oster, entrambe significanti Pasqua.
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-Beltane-Calendimaggio
1 maggio. Come Samhain, a cui è in opposizione, è una festa importantissima. Celebrazione dell’abbondanza. Il Dio e la Dea si uniscono, fecondando la natura di cui, in estate, si raccoglieranno i frutti. Altro nome :Walpurgisnacht/Notte di Valpurga. I rami di abete, preservati a Yule (21 dicembre) vengono bruciati. Nel Nord-Europa si eseguiva, il 1 maggio, il ballo del palo. Nastri rosa e bianchi venivano legati intorno ad un palo, intorno al quale si danzava. Era una danza di buon auspicio per la prosperità. La cristianità ha posteriormente censurato come diabolica questa celebrazione di pregnanza, nozze, ubertosità, allegria. Diversamente da Samhain, non si è riusciti a soffocarla con una festività cattolica, ma se ne è trovata, molto più tardi, una civile: La Festa dei Lavoratori. Questa festa è stata trasformata in simbolo di pervertimento, cattiveria, messe sataniche, ecc…Una vera campagna di detrazione. L’allegoria di questa celebrazione era l’unione del maschio e della femmina, per il proseguire della vita, ripetendo gli interminabili cicli.
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-Litha-Midsummer
21 giugno. Uno dei quattro sabbath minori, in prossimità della cattolica S. Giovanni Battista (24 giugno). Solstizio d’estate. La luce dura più del buio. Il Dio è all’apogeo del suo fulgore e lo si festeggia con dei falò. La Dea, dal canto suo, porta avanti la gestazione del frutto delle loro nozze. La natura esplode rigogliosamente. Anticamente si appiccavano dei fuochi in ossequio al sole e dal suo fumo veniva purificato il bestiame. Il fuoco era anche di buon auspicio per il raccolto e l’abbondanza. Secondo la magia, invece, le prime ore del 24 giugno erano le più indicate per selezionare le piante e le erbe da raccogliere nei campi. Si raccoglieva e conservava anche la rugiada, elemento essenziale per successive liturgie magiche. Le erbe caratteristiche della notte del nascente 24 giugno erano: artemisia, sambuco, verbena, iperico (o erba di San Giovanni) e vischio. Le prime ore di questo giorno erano considerate, anche secondo la tradizione italiana, particolarmente fauste per la predizione dei matrimoni. Una tradizione narra che vicino Benevento, esattamente vicino al fiume Noce, vi fosse un fiumiciattolo dove le ragazze sterili si immergevano per ottenere la fecondità. Nell’Europa Settentrionale, invece, la tradizione voleva che le donne si sdraiassero nude sopra la rugiada, al fine di ottenere buona salute, bei capelli e figli.
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-Lughnasad-Festa del raccolto
1 agosto. Celebrazione della prima messe dell’anno, particolarmente quella del grano. Era infatti anche chiamata Festa del pane. Festa dei cereali e della vita bucolica. Celebrazioni in ossequio del Dio Lugh (omologabile, per certi aspetti, al Dio Saturno dell'emblema di Sutri). Il Dio man mano diventa tetro, si indebolisce e diventa tiepido. L’autunno è alle porte. La Dea distribuisce i primi frutti, necessari per garantire la vita fino al nuovo giro di ruota. In tempi remoti questa fase era accomunata all’olocausto dello spirito del grano, una allegoria del Dio. Nelle celebrazione della messe si festeggiano, invero, la morte e la rinascita dello spirito del grano che, reciso dalla falce, si trasforma in farina e, quindi, in pane e successivo seme per un altro ciclo. Dopo la trasformazione della morte, una vita nuova. L’equilibrio di cui la Ruota ha bisogno per proseguire il suo moto perpetuo. E’ una fase di festa e ringraziamento agli Dei, per tutte le cose che ci hanno regalato. Tuttavia è anche una fase di meditazione, relativamente a tutto ciò che, interiormente ed esteriormente, stiamo raccogliendo. E’la preparazione per la parte oscura della ruota che sta per sopraggiungere.
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-Mabon-Secunda
21 settembre. Uno dei quattro sabbath minori. Seconda celebrazione della messe. Si fanno i bilanci relativamente a ciò che si è seminato e a ciò che si sta raccogliendo.

 
P.S.
SAMANTAH,  OVVERO: ‘ UNA STREGA WICCA PER AMICA ?!
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Santa Maria in Carbonara
"Casa Viterbese degli Scudieri del Papa "Etrusco" Alessandro III
Al Secolo Rolando Bandinelli
Siena-Inizio sec. XII * Civita Castellana-1181"
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Santa Maria in Carbonara
 
Semi-defilata tra le tegole ocra degli antichi edifici limitrofi, una semplice e tuttavia pittoresca, suggestiva torre campanaria, può essere intravista sporgendosi un po' dalla balaustra sinistra dell'imponente, romanico duomo viterbese di San Lorenzo, il cui colle è collegato al resto della città da un ponte etrusco, costruito in grossi blocchi di peperino che si sostengono, sovrapponendosi, senza cemento. Si tratta del campanile a vela della Chiesa di Santa Maria in Carbonara, una delle più originali, struggenti e, storiograficamente parlando, rilevanti chiese di Viterbo. Anticamente, in questa chiesa, si recavano a pregare ed a portar fiori le "zitelle", vale a dire le donne in cerca di un marito. Questo tempio cristiano, che ha perso la maggior parte dei fregi decorativi di un tempo, è situato nell'attuale Via S. Antonio, che transita proprio sotto il ponte del Duomo. Quando fu edificata, Santa Maria in Carbonara si trovava ai bordi di uno scosceso e dirupato pendio che fungeva da "crinale naturale" della medievale, verde contrada "La Valle"! Tale singolare epiteto, "...in Carbonaia", germinò dall'esistenza, costì, di una carbonaia, alias "carbonara". Le "carbonare" erano delle lunghe fosse che, in quel tempo, venivano artificialmente create nei pressi dei bastioni, ovvero dei terrapieni perimetrali di difesa urbana. Le "carbonare" venivano ricolmate di sostanze altamente infiammabili e solertemente incendiate in occasione di assalti militari dall'esterno. E' pressoché utopistico identificare il periodo di costruzione della chiesa. Le fonti più antiche datano all'aprile 1236. Santa Maria in Carbonara risultò, in quel tempo, menzionata in un contratto preliminare di compra-vendita fondiario-immobiliare, catalogata come "chiesa minore"! Fu soltanto sette anni dopo, nel 1243, che il suo nome tornò alla ribalta, ovvero quale sito di formalizzazione di alcuni documenti relativi all'edificazione di una reggia per Federico II di Svevia. Nondimeno, talune similitudini formali con altre chiese di Viterbo, come ad esempio il presbiterio di S. Giovanni in Zoccoli e/o l'abside di S. Maria Nuova, nonché le caratteristiche architettoniche della stessa S.Maria in Carbonara, permettono di ipotizzare un'epoca di costruzione di gran lunga anteriore. La data di costruzione della chiesa è più concretamente collocabile alle origini del secolo XII. Un'incisione all'interno del luogo di culto, anticamente decifrabile, evidenziava un nome: "Petrus Filius Bentivegna". Ed è tuttora il reliquato di quella incisione ad avvalorare l'ipotesi della datazione. Non sono giunti documenti probatori circa la proprietà di S. Maria in Carbonara, vale a dire che non è noto se fosse un bene patrimoniale del Clero di Viterbo. Un'ipotesi è che appartenesse all'Abbazia di Farfa, influente ed autorevole centro benedettino del Reatino, proprietaria di latifondi nel Viterbese e di immobili nella stessa città di Viterbo. Per contro, è storicamente inconfutabile che appartenne ai Cavalieri dell'Ordine del Tempio, in quanto reiteratamente citata nei documenti dello scellerato processo che questi dovettero subire. Ai Templari della Commenda di Viterbo fu affidata la sorveglianza della Via Francigena e delle vie di accesso all'Abbazia di San Martino al Cimino, appartenente ai Monaci Cistercensi. Il ruolo svolto dai Templari si rivelò determinante sia nelle nomine dei Pontefici, sia nella pianificazione delle Crociate,sia nelle relazioni diplomatiche con altri Stati Cistiani. Fu nella viterbese Vetralla, infatti, che Papa Innocenzo II (sollecitato da Bernardo di Chiaravalle, poi S. Bernardo, fondatore dell'Ordine Cistercense, a cui i Templari si ispirarono per il proprio ordinamento)bandì la Seconda Crociata, quella, invero, che vide formarsi l'Ordine del Tempio. Della Via Francigena, Viterbo costituì una posta importante per tutti i pellegrini diretti a Roma e/o in Puglia, per l'imbarco verso la Terra Santa. I Templari, protettori dei pellegrini,
possedevano quindi un caposaldo nella zona. La prossimità di tale caposaldo alla cinta muraria viterbese e, quindi, alla Porta di Valle, permetteva ai Cavalieri del Tempio di prestare soccorso e sostegno ai pellegrini che entravano in città provenienti dalla Cassia. Oltre a ciò, il sito di S. Maria in Carbonara era favorevole alle istanze dei rapporti diplomatici dei Templari, poiché vicino ai due fulcri del potere dell'epoca, vale a dire il Palazzo dei Papi (Sede Pontificia nei secoli XII e XIII e Sede dell'Episcopio) e Piazza S. Silvestro, sito delle assise dei magistrati comunali. . I Cavalieri del Tempio edificarono costì, a precipizio sul fosso Caldano, un altro loro caposaldo, inglobante un chiostro in miniatura e taluni vani di servizio. In questa epoca attuale la struttura è stata trasformata ed adibita a folkloristico e pittoresco ristorante: "La Taverna dei Templari"!
 
L'emblema della TAU  Templare…
 
La croce taumata fu assunta emblematicamente dai Cavalieri del Tempio già nel loro primo periodo storico. Una TAU rossa sul mantello rappresentava gli "Scudieri", per divenire poi "Croce Patente Intera" nel rango superiore di "Cavaliere"!  Nell'alfabeto ebraico il TAU è l'ultima lettera e simboleggia l'atto finale della Creazione, il soggetto in cui principia la successiva parte dell' "Opera"! Il Principio che conclude la Sintesi: Pane Quotidiano e Verbo Divino. Vale a dire istanze fisiche ed  anagogia, nel rispetto del messaggio evangelico: "Non in solo pane vivit homo", ma anche di ogni verbo pronunciato da Dio! Alcune fonti associano il/la Tau ad un tesoro, altre semplicemente al sito che lo cela! Tuttavia, è dato più banalmente ritenere che il TAU sia stato assunto dai Templari come riferimento alla Croce o come iniziale di "Templum"! In quanto emblema templare e facile trovarlo su stemmi collocati su mansioni o su chiese delle loro storiche e gloriose Commanderie.
 
...che i Templari adottarono unitamente alla CROCE PATENTE, sta a significare l'appartenenza di un tempo all'Ordine.
 
Santa Maria in Carbonara è costruita in pietra nuda, con tetto a capriate ed è mono-ambiente. Guardando verso l'altare maggiore, sulla sua destra, si vede una porticciuola che mena dritto al sacrario e, quindi, al verziere. L'accesso al convento (ex convento) si trova vicino alla porta della chiesa, dove risulta ben evidente l'insegna del Commendatore Giovanitta Fra' Vincenzo Ginori di Firenze, il quale gestì la Commenda al declinar del '500. Tanto è vero che, a posteriori della soppressione dei Templari, la chiesa ed altre proprietà dell'Ordine furono trasferite ai Giovannitti ed
a loro rimasero fino a tempi recentissimi, allorché furono inglobate tra i cespiti della Cattedrale di Viterbo. Per un periodo, a partire dal 16° secolo, la chiesa fu affidata ai  Cavalieri di Rodi (Oggi: Cavalieri di Malta)e fu proprio grazie al Sovrano Militare Ordine di Malta se, nel 1964, venne restaurata. Nella chiesa, per molto tempo, fu conservato il dipinto bizantino della "Madonna della Carbonara", attualmente collocata nel Museo del Colle del Duomo, mentre nel Duomo stesso ne è esposta una copia. Dovevano passare circa ottocento anni perché i Templari tornassero a Viterbo! Agli inizi del 2010, con un rito in espressione medievale dove non potevano mancare spade e mantelli crociati, è stata fondata, alla presenza del Gran Priore d'Italia, la nominata "Commenda" dell' "Ordo Supremus Militaris Templi Hierosolymitani" (OSMTH) di Santa Maria in Carbonara. La "Taverna dei Templari" è diventata oggi la sede ufficiale della Commenda, che comprende: un Commendatore, sei Cavalieri (Nobili), uno Scudiero e, per il momento, nessun Sergente (Borghesi)! Donata al Culto della Comunità Rumena, Santa Maria in Carbonara, attualmente,rientra negli auspici della Metropolia Ortodossa Autonoma Occidentale, Arcidiocesi di Milano ed Aquileia.
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Omaggio a Jacques de Molay
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Nota introduttiva dell’autore
 
Il 27 gennaio di ogni anno si celebra il “Giorno della memoria” dell’Olocausto, mentre il 10 febbraio di ogni anno si celebra il “Giorno della memoria” delle Foibe, “per non dimenticare”! Ed allora, perché non istituire un “Giorno della memoria” del Martirio dei Templari, “per non dimenticare”??? E quale più consono giorno potrebbe essere se non il 18 marzo, ovvero il giorno (1314) del martirio sul rogo del Martire Templare per antonomasia, ovvero del Gran Maestro Jacques de Molay? Questo breve saggio storico tende proprio a questo, ovvero a mantenere vivo il ricordo del Martirio Templare. Tuttavia il saggio non indugia sulla figura storica dei Templari, bensì su quella di Ugo Capeto, capostipite della Dinastia Capetingia e su quella del suo tardo successore, Filippo IV “Il Bello”, ovvero sul carnefice dei Templari. Ugo Capeto viene coinvolto, scomodando Dante Alighieri, poiché fondò la Dinastia Capetingia sulla base della violenza, dell’usurpazione del trono e della corruzione, che utilizzò per accattivarsi i favori necessari all’ascesa. Tutto ciò vuole significare che l’ascesa al trono di Filippo IV era già illegalmente e proditoriamente viziata a monte, ovvero alle origini dinastiche. Riferimenti vengono fatti alla decadenza della società francese durante il Regno di Filippo IV. Viene altresì riportata un’epigrafica monografia sull’Ordine Templare. Il saggio si conclude con una massima di saggezza, vergente ad enfatizzare la nefandezza e l’orripilanza interiori del Bel Sovrano di Francia.
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Struttura del saggio:
I Capetingi
Ugo Capeto (987-996)
Ugo Capeto nel Purgatorio-Canto XX
Filippo IV di Francia
La Francia durante il Regno di Filippo IV Il Bello
Templari
“Omnia mea mecum porto”
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I Capetingi
 
Genealogia reale francese che, fraudolentemente, succedette ai Carolingi, succeduti ai Merovingi, sul trono di Francia. Mutuò l’appellativo da Ugo Capeto (così soprannominato a causa del piccolo mantello con cappuccio, in francese “cape”, che era solito indossare), Monarca di Francia nella fase conclusiva del secolo decimo, proclamato Re a Noyon, il 3 luglio 987. Dante lo citò nel “Purgatorio” con il nome di “Ugo Ciapetta”. Ad Ugo Capeto seguirono sul trono, in linea retta, per finire con Carlo IV Il Bello, deceduto nel 1328, quattordici Monarchi. Partendo dal fulcro primigenio della loro potenza, l’Ile-de-France, ebbero il nefando magistero, progressivamente, usurpando e prevaricando su un cospicuo numero di nobili, principi e sovrani dell’epoca, di allargare il loro influsso su porzioni sempre più vaste della regione francese (precipuamente nel sud della Francia, a grave danno dei regni formatisi con lo sfaldamento dell’Impero Carolingio) e di organizzare aggressioni esterne a quest’area. Nondimeno, al di là della conquista di ulteriori territori, l’operato dei Capetingi si identificò nella strutturazione della monarchia francese, che essi corroborarono e consolidarono, …
 
(in questa logica essi potenziarono cospicuamente l’autorità regia in Francia, dogmatizzando i principi di ereditarietà maschile della successione al trono, di primogenitura e di indivisibilità dei territori del regno)
 
…non soltanto militarmente e fiscalmente, ma pure e, soprattutto, nella direzione di un’ideologia fortemente autocratica e cinicamente negligente dei diritti altrui. I Capetingi furono, invero, i più tetragoni fautori del concetto di intangibilità del potere monarchico e dell’immedesimazione della nazione con il suo stesso monarca. I Capetingi, pressoché arrogandosi diritti teocratici, ascrissero al loro potere uno stigma ierocratico, compendiato nei motti : “Re Cristianissmo” o “Per Grazia di Dio” (sec. XIV). A partire dal XII secolo, postularono l’assunto del “Re Imperatore nel suo Regno”, assunto che rappresentò la “condicio sine qua non” ideologica per l’evoluzione di una monolitica monarchia nazionale. Le numerose propaggini della famiglia ed il sistema degli utilitaristici e subdoli “Matrimoni di Stato”, permise ai Capetingi di allogare, su vari troni europei, epigoni…
 
(Angiò, Borgogna, Borbone, Condé, Longueville, Orléans, Valois)
 
…del proprio Casato, epigoni con i quali, tra l’altro, si trovarono sovente in forte attrito. I Capetingi giunsero fino all’Impero di Costantinopoli. Ai Capetingi, per via indiretta, succedettero prima i Valois e poi i Borbone.
 
Molte fonti e tradizioni storiografiche parlano di “cupidigia” della stirpe capetingia e, soprattutto, degli ultimi rappresentanti. Una virulenta sferzata alla politica della Dinastia Capetingia fu data da Luigi VI (1108-1137), il quale ricusò qualsiasi dialettica con il sistema feudale, anzi soffocandone con la violenza qualsiasi opposizione, con selvaggio spirito e brutale astuzia. A far seguito dall’assimilazione della Provenza, arrecata come dote nel 1245 da Beatrice a Carlo D’Angiò, il quale la unì al Regno di Napoli, cominciarono una sequela di annessioni, ottenute con le armi o con l’imbroglio, nella logica di una fausta, ma bièca strategia di unificazione interna e di dilatazione esterna. Alle inique e fraudolente annessioni si addizionarono ulteriori crimini tra cui, molto importanti: la condanna a morte di Corradino di Svevia, l’assassinio di San Tommaso D’Aquino, lo “Schiaffo di Anagni”, lo scioglimento dell’Ordine dei Templari. Episodi, questi, tutti ripetutamente rammentati e citati da Dante.
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Ugo Capeto (987-996)

 
Deceduto Lodovico V, ultimo Re Carolingio (967-987), Ugo Capeto, con denaro e corruzione, si procurò consenso dispensando  terre ai suoi elettori. Sebbene la Nobiltà Francese non fosse, in un primo momento, intenzionata a sostenere la creazione di una dinastia capetingia, Ugo si valse ad imporre la sua autorità e a far incoronare co-reggente suo figlio, Roberto II. I Capetingi si garantirono, in questo modo, la successione alla corona, per discendenza maschile, per più di tre secoli (987-1328), ovvero per diritto ereditario e non per diritto di elezione. Iniziò così una serie ininterrotta di Re appartenenti alla medesima genealogia. Quando Ugo Capeto fu eletto, a Senlis, dall’Assemblea dei prezzolati Feudatari, l’Arcivescovo di Reims, Adalbertone, che presenziò ed avallò, sanzionò palesemente che la Corona di Francia era elettiva, come in Germania. Tuttavia, mentre in Germania rimase elettiva, in Francia i Capetingi procurarono ben presto l’insorgere del principio che il Re “non muore” e che il suo potere passa “ipso iure” al figlio. Dante Alighieri asserisce che Lodovico V fu “renduto in panni bigi” (Pg. XX, 54), ovvero che l’ultimo dei “li regi antichi”,ovvero dei Carolingi, fu costretto coattivamente a ritirarsi nella clausura di un chiostro. In altri termini “fu fatto prigioniero”. Altresì Dante fa risalire Ugo Capeto ad un’umile origine ed asserisce che era figlio di un ricchissimo mercante di bestiame, i cui soldi servirono a corrompere i feudatari ed a comprare il loro appoggio. De facto, Dante accusa Ugo Capeto (che nella Divina Commedia colloca, disteso bocconi e legato, nel V Girone, ovvero tra i prodighi e gli avari)  di usurpare il trono: “Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi” (Pg. XX, 52). Tuttavia non lo condanna tanto per aver usurpato il trono, quanto per aver dato origine ad una dinastia scellerata.
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Ugo Capeto nel Purgatorio
Canto XX
Sollecitato da Papa Adriano V (dei Fieschi), molto cautamente, Dante, pressoché sulla punta dei piedi, transita per il quinto terrazzamento della montagna, facendo attenzione a non pigiare l’umano manto dei prodighi e degli avari (bocconi a terra e legati), allorché il grido di una larva, mescolato tra i singulti, lo induce ad arrestare il suo incedere. Versa lacrime amare quella larva, finora anonima, che adesso, ancor più singultando, proferisce due paradigmi della virtù antitetica al suo vizio. Quel grido, quella voce, dopo aver verbalmente e severamente attaccato il peccato capitale dell’avarizia, origine di tanta iniquità, rammenta, ancor piangendo, tre esempi, due di povertà ed uno di generosità, ovvero: quello di Maria che diede alla luce Gesù, quello del Console Romano Fabrizio che non si lasciò corrompere dalle ricchezze offerte dal nemico e quello di San Nicola, Vescovo di Bari, che salvò tre fanciulle dal meretricio. Dante, quindi, si rivolge alla sconosciuta anima, per conoscerla. Quel grido, quella implorazione altro non sono che l’impetrazione patetica di Ugo Capeto, progenitore della genealogia dei Reali di Francia, che costituisce l’incipit del canto XX del Purgatorio. Quindi il dolore si frammischia alla collera, man mano che il “proto-capetingio” enuclea le fasi trucemente salienti della sua bièca schiatta, che egli stesso, con una requisitoria, condanna per la brama di potere e di ricchezza, per la frode e la violenza, per la prevaricazione poste in essere. Ugo Capeto cita quindi Carlo D’Angiò (che provocò la morte di Corradino di Svevia e di San Tommaso D’Aquino), Carlo di Valois (che ebbe un ruolo topico nel fomentare l’uso delle armi e l’anarchia in Firenze), Carlo II D’Angiò (che mandò in moglie l’ancor giovanissima figlia Beatrice ad Azzo VIII D’Este, in cambio di una somma di denaro), arrivando a Filippo Il Bello, mandante del delitto di “lesa maestà” nei confronti di Papa Bonifacio VIII (fatto ascritto negli annali di Storia come “Lo schiaffo di Anagni”), nonché mandante dell’efferato delitto di persecuzione e scioglimento dell’Ordine dei Templari. Il biasimo per la violenza e l’avidità che Ugo Capeto indirizza al suo postero e successore Filippo IV, è, ovviamente, musica per le orecchie del fiorentin, nel Purgatorio, itineranteVate. Ugo Capeto si rivolge ancora a Dante, dicendogli che le anime dei prodighi e degli avari recitano di giorno esempi di povertà e di generosità e di notte, invece, ricordano personaggi che sono stati negativamente famosi a causa di prodigalità ed avarizia: Crasso, Polimestere, Pigmalione, Mida, Acan, Anania, Satira, Eliodoro…
Dante e la sua guida, Virgilio, si son or ora allontanati da Ugo Capeto, allorché il primo ode:
“come cosa che cada/tremar lo monte; onde mi prese un gelo/qual prender suol colui ch’a morte vada”
La montagna del Purgatorio è quindi violentemente scrollata da un sisma, intanto che le anime di tutte le cornici intonano in coro “Gloria in excelsis Deo”. I due poeti si bloccano e restano immobili e sospesi. Quindi riprendono la loro marcia. Dante vorrebbe sapere il perché di quel terremoto, ma non ha l’ardire di domandarlo a Virgilio. Più tardi saprà che un’anima ha finito di espiare in Purgatorio ed è ascesa al Paradiso. Vale a dire che il fenomeno si ripete ogni volta che quest’ultimo evento si verifica.
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Filippo IV di Francia

(Filippo Il Bello “Le Bel” “Capeto”)
(Fontainebleau, 1268-Fontainebleau, 29 novembre 1314)
Filippo salì al trono di Francia a 17 anni, alla morte del padre, nel 1285 e regnò fino alla sua morte. Rampollo della genealogia dei Capetingi, Filippo vide i propri natali nel Palazzo di Fontainebleau. Nipote di Luigi IX, figlio del Re Filippo III L’Ardito (o “L’Audace”) e di Isabella D’Aragona. Fratello di Carlo di Valois. Filippo fu soprannominato “Il Bello” per il suo avvenente aspetto. Regio enfant gaté, già nella sua adolescenza manifestò cospicui prodromi di crudeltà, egoismo e cinismo. Come Re, Filippo, consacrò una larga porzione della sua esistenza ad un’azione di assestamento e di potenziamento della monarchia, che lo portò ad avviare un’opinabile e controversa struttura burocratica, che defilava, invero, una vigorosa, tetragona ed adamantina autocrazia. Un anno prima di ascendere al trono, Filippo sposò Giovanna I, Regina di Navarra. Era il 16 agosto 1284. Connubio, questo, estremamente topico in ambito territoriale, considerando che Giovanna, tra l’altro, era pure Contessa di, ovvero regnava anche su Champagne e Brie, regioni contigue all’Ile-de-France, che si fusero ai possedimenti del Capetingio Monarca, con il risultato di un immenso regno. Filippo, con spregiudicato ed individualistico utilitarsismo, dilatò in questo modo, rapidamente, a dismisura e gratuitamente, i domini capetingi. Filippo assunse allora il titolo di Re di Francia e di Navarra, fino al 1304, anno in cui Giovanna morì. Da Giovanna ebbe quattro figli: Isabella (la “Lupa di Francia”), Luigi X (Il Litigioso), Filippo V (Il Lungo) e Carlo IV (Il Bello). Il Regno di Francia era, all’epoca dell’ascesa al trono di Filippo IV, assai prospero e vi abitava un terzo della Cristianità Latina, ovvero dai 13 ai 15 milioni di persone. Il novello Re, coadiuvato da un entourage di mentori esperti di diritto (i giuristi), fu il primo sovrano moderno di uno Stato forte e centralizzato. Nondimeno, diverse riforme fallirono. Nell’utopia di controllare il proprio Regno nella sua vastità, il Re non fu capace di gestire con equilibrio le imposte dirette e/o di riorganizzare un’amministrazione ben funzionante. Già nel 1285, vale a dire non appena salì al trono, Filippo si prodigò nella lacerante ed esosa guerra contro l’Aragona (conflitto che aveva prodotto la morte del padre, nel 1291), in sostegno degli Angioini dell’Italia Meridionale, pesantemente e pericolosamente coinvolti nella “Guerra del Vespro” (1282-1303). Il conflitto contro gli Aragonesi si protrasse per un decennio e terminò con il Trattato di Anagni (1295), in virtù dell’imprescindibile e determinante azione diplomatica di Papa Bonifacio VIII. Nel triennio 1294-1296, Filippo occupò con le armi, ovvero violandone i diritti territoriali, la Guienna o “Guyenne” (una delle precipue ragioni di frizione con Edoardo I d’Inghilterra), il Barrois, Lion Viviers. Nel 1296, avendo già inferto un duro colpo agli Ebrei per far fibrillare e per tonificare la languente  economia francese, in una congiuntura negativa per il rinnovamento politico delle strutture del regno ed avendo istanza di capitali per la guerra contro Edoardo I, Filippo deliberò, unilateralmente e monocraticamente, l’imposizione di una tassa straordinaria, anche al Clero, ovvero ingiunse un contributo alla Chiesa francese, provocando, così, una prima diatriba con Roma, esulceratasi nel 1301, per l’arrogazione del diritto di giudicare un Vescovo. (*01)
Il 25 febbraio 1296, Papa Bonifacio VIII replicò alla decisione di Filippo con la bolla “ Clericis laicos”. Con questa bolla il Papa inibì al Clero francese di erogare tasse al Sovrano, ovvero ad un’istituzione laica, senza il previo placet pontificio. La bolla reiterava, vieppiù, l’egemonia del potere spirituale su quello temporale e contemplava scomuniche per quei laici che, d’ufficio e coattivamente, avessero reclamato dal Clero l’esazione  di indebite imposte. Di fatto, la ricusazione del Clero di Aquitania a qualsivoglia metodo di contribuzione a favore della guerra contro gli Inglesi, diede l’aire al conflitto contro il Papato. Il 17 agosto 1296, Filippo precluse ogni invio di oro e di argento verso Roma, ovvero verso lo Stato della Chiesa. In un primo momento Papa Bonifacio controbatté con la bolla “Ineffabilis amoris”, quindi, paventando rappresaglie, nel 1297, la revocò. Non meno critico, prostrante ed esoso della “Guerra Aragonese”, fu l’attrito con Edoardo I d’Inghilterra (alleato dei Conti di Fiandra), che raggiunse il parossismo, ovvero divenne conflitto aperto nel 1294. Questo conflitto vide il proprio epilogo nel 1298, per virtù dell’intercessione spirituale di Papa Bonifacio VIII (Trattato di Montreuil 1299, siglato da Filippo Il Bello e da Guy, Conte di Fiandra). Nel corso di questa guerra, nel 1297, per castigare i Dampierre (*02), …
 
(*02)Famiglia francese che ebbe tra i suoi maggiori esponenti GUY(1225-1305), Conte di Fiandra, che combatté contro Filippo Il Bello (da quest’ultimo proditoriamente ed abiettamente attirato in trappola a Parigi nel 1300, dopo la firma del Trattato di Montreuil, imprigionato, esautorato e sostituito da un governatore d nomina reale), sostenuto da Edoardo I d’Inghilterra. Guy, con il bieco inganno, fu sopraffatto ed i suoi possedimenti furono coattamente ed illegalmente fagocitati dall’avida Corona francese, sia pure per un esiguo lasso di tempo.
 
…alleati di Edoardo I, il Bel Capeto invase le Fiandre, occupandole ed usurpandole con inquietanti prepotenze, nonché con asprissimi e vergognosissimi abusi di potere, il che egli continuò a fare anche altrove, al fine di procacciarsi i capitali ed i mezzi inderogabili per condurre le proprie imprese di violazione dei diritti dei popoli. Nondimeno, a posteriori del citato Trattato di Montreuil, per quel che concerne l’Inghilterra, si trattò di una situazione di stand-by, la quale approdò ad un’apprezzabile normalizzazione nel 1308, grazie al regal imenèo tra Edoardo II d’Inghilterra e la figlia di Filippo IV, Isabella di Francia. Papa Bonifacio VIII aveva auspicato questo matrimonio già nel 1298. Tuttavia, illo tempore, non se ne fece nulla a cagione del veto di Edoardo I, il quale trapassò nel 1307 lasciando, di fatto, via libera alle nozze. Tra il Trattato di Montreuil (1299) e le nozze tra Edoardo II ed Isabella di Francia (1308), contro la Francia, a questo punto prostrata e lacerata dal conflitto, si sollevarono in armi le Fiandre, le cui milizie urbane infersero a Filippo una storica e catastrofica débacle a Courtrai (Battaglia “Degli Speroni d’oro” “Guldensporenslag”-Piana di Groninga-Kortriyk-Fiandra, 11 luglio 1302). Molto presto, nell’umida bruma, nella fioca luce dell’alba incipiente, di quel 18 maggio 1302, i Fiamminghi, a Bruges, massacrarono 3.000 soldati francesi, innocenti vittime della crudele ambizione e della famelica cupidigia del loro stesso, scellerato Sovrano. Nondimeno, il Barbaro Capetingio (perché questa è la sua schiatta) cinicamente gioì di una sua vanitosa, superba, orgogliosa rivincita, guidando personalmente la cruentissima battaglia di Mons.en-Pucelle/Pélève (1304), a cui seguì il Trattato di Athis-sur-Orge (1305), in virtù del quale il Capetingio si annetté le città di Bèthune, Lilla e Douai. Furono barbaramente trucidati 80.000 Fiamminghi, che si immolarono stoicamente, sublimando il loro martirio per la libertà, l’autonomia, i diritti e l’onore della propria gente.
 
(*01)Ottobre 1301.
Sotto il Nobile Pierre Flotte(^) (caduto combattendo contro i Fiamminghi), Giurisperito, Guardasigilli  e Gran Cancelliere di Filippo IV, …
 
(^) Pierre Flotte fece spesso riferimento al “legum doctor” Azzone da Bologna “1150-1225”, uno dei più grandi giuristi-glossatori medioevali, ovvero fece spesso riferimento al suo principio “rex in regno suo est imperator”, al fine di costituire il pilastro fondamentale per lo Stato moderno di Francia. Parimenti e per lo stesso motivo, fece riferimento anche al Domenicano, giurista e filosofo, Jean de Paris “Paris 1260-Bordeaux 1306”, il quale ricusava qualsiasi vassallaggio del Sovrano al potere temporale del Papa e prefigurava il conferimento al Sovrano di poteri anche in materia religiosa.
 
…lavorava un partito antiguelfo, con il quale collaborarono i fuoriusciti Colonna. Riesplosero i dissidi sulle immunità ecclesiastiche. Le difficoltà economiche della Francia furono l’incontrovertibile motivo della tenzone tra Filippo IV e Papa Bonifacio VIII (Bonifacio in questo anno fondò l’Università di Avignone), tenzone che si esacerbò quando Filippo fece arrestare il legato pontificio, il Vescovo di Senlis Pamiers, Bernard Saisset, tacciandolo di eresia e tradimento. Bonifacio VIII intervenne nelle questioni interne francesi, richiamando a Roma i vescovi gallicani, gli abati, i canonisti, i rappresentanti dei capitoli (ante promotionem nostram, 5 dicembre 1301). Nella bolla sincrona “Ausculta Fili…” stigmatizzò il rivale, avvertendolo: “…extra ecclesiam, nemo salvatur. Constituit Nos Deus super reges et regna”! Nell’entourage di Pierre Flotte esercitava Pierre Du Blois, Normanno, avvocato reale a Coutances, politologo, protopubblicista, autore di una « Summaria brevis et compendiosa doctrina felicis expeditionis guerrarum ac litium regni Francorum”, databile al 1300. Du Blois aveva in mente la “Monarchia Universale Francese”. Primo passo: Sua Maestà rimuova il Pontefice dagli Stati Romani; rivolga i suoi interessi alla pingue Lombardia; alloghi Suo fratello Carlo di Valois (*03)sul trono costantinopolitano, facendogli impalmare l’ereditiera; …
 
(*03)Carlo di Valois, Conte di Valois dal 1286, Conte di Angiò e del Maine dal 1290, Conte di Alençon dal 1291 e Conte di Chartres dal 1293 fino alla sua morte. Fu inoltre Imperatore consorte titolare dell’Impero Romano d’Oriente dal 1301 al 1308 e Re titolare d’Aragona dal 1283 al 1295. Nel 1283 il tredicenne Carlo fu designato da Papa Martino IV a succedere sul trono di Aragona, a Pietro III d’Aragona, esautorato e colpito da scomunica quello stesso anno. Nel 1290 il matrimonio con Margherita d’Angiò gli permise di entrare in possesso delle Contee d’Angiò e del Maine, costituenti le doti della moglie. Carlo, dopo poco tempo, prese in moglie Caterina di Courtnay, figlia di Filippo I di Courtnay (a sua volta figlio dell’ultimo Imperatore Latino di Costantinopoli, Baldovino II), cercando una rapida corsia preferenziale verso il trono dell’Impero Romano d’Oriente, potendo Caterina rivendicarne i diritti. Durante la guerra che si stava aspramente combattendo in Sicilia, tra Aragonesi ed Angioini, il Papa Bonifacio VIII si valse a sensibilizzare il Re di Francia, Filippo Il Bello che, nel 1301, inviò un esercito al comando del fratello Carlo di Valois. Carlo, giunto in Italia col suo esercito, intervenne a Firenze nel tentativo, almeno ufficialmente, di riportare la pace tra i Guelfi Bianchi e Neri. Egli favorì i Neri, mettendo al bando i Bianchi dalla città (tra questi Dante) nel 1301. Carlo, poi, novello, truculento Attila, bruciando, depredando e saccheggiando, proseguì la marcia verso la Sicilia con un palese piano di conquista, ma la malaria e la paura di un attacco da parte del Re Aragonese di Sicilia, Federico, lo fecero abdicare al suo intento. Carlo di Valois intervenne ancora in Italia, nel 1308, quando, alleato di Venezia, si trovò coinvolto nella lotta di successione del Marchesato di Ferrara, dopo la morte del Marchese Azzo VIII d’Este.
 
…soccorra il cugino Alfonso de la Cerda, mirando agli insediamenti spagnoli; guardi all’Ungheria ed alla Germania (*04); . …
 
(*04)Carlo di Valois, con il patrocinio del fratello Filippo Il Bello, nella loro nefanda e comune logica di espansione territoriale, di usurpazione e di conquista, tentò di raggiungere il Soglio Imperiale d’Asburgo, sia dopo l’assassinio di Alberto I (1308) sia dopo la morte di Arrigo VII (1313), ma non vi riuscì.
 
…all’interno acquisisca il monopolio reale sulle giurisdizioni “usurpate” dalla Chiesa. Basta non paventare anatemi. Si riporti la Casa di Lussemburgo sul trono imperiale (*05); …
 
(*05)Secondo questo piano il Regno di Arles doveva essere donato a Carlo di Valois, ma il Re di Napoli e Conte di Provenza, Roberto Il Saggio, fece, per fortuna, abortire il piano.
 
…si mantenga l’ordine nella Fiandra (*06).
 
(*06)Carlo di Valois morì nel 1325, anno in cui aveva guidato l’esercito per reprimere ferocemente nel sangue alcune sedizioni, proprio nell’irredentista Fiandra.

 
Alla bolla “Ausculta fili…” Filippo Il Bello replicò convocando (1302) gli Stati Generali (Clero, Nobiltà e Borghesia) nella chiesa di Notre-Dame di Parigi, dove fu letta la dichiarazione di indipendenza della Francia e dei suoi Re al cospetto del potere spirituale. Anche il Clero francese votò a favore del Re. Per quel che concerne Bonifacio VIII, egli, con la notissima bolla “Unam Sanctam” del 1302, riaffermò l’assunto dell’egemonia della Chiesa sul potere civile. Filippo IV, scomunicato (1303), si oppose con efferata risolutezza e reagì postulando un processo per eresia e per infirmare l’elezione di Bonifacio VIII, ovvero  inviando il suo machiavellico Longa Manus, il Cancelliere Guglielmo di Nogaret a Roma, a capo di alcuni soldati, per intimare al Pontefice, con la complicità del sordido Sciarra Colonna, di revocare la bolla pontificia “Super Petri Solio” che conteneva la scomunica. Il Papa fu sorpreso ad Anagni e, catturato coattivamente (*07)“Schiaffo di Anagni”, fu recluso nel profanato Palazzo di Anagni. I due sacrileghi aguzzini cercarono di costringerlo, oltre che ad abiurare la bolla, anche ad abdicare. L’episodio fu risolto da una sedizione popolare degli indignati ed inferociti cittadini di Anagni, che liberarono Bonifacio VIII. …
 
(*07)Lo “Schiaffo di Anagni”, talvolta citato anche come “Oltraggio di Anagni”, è un episodio occorso nella cittadina laziale il 7 settembre 1303. Si tratta, invero, di uno schiaffo materialmente dato dall’empio Sciarra Colonna all’anziano ed inerme Pontefice, Bonifacio VIII. L’oltraggio riempì di sdegno anche molti avversari della politica di Papa Bonifacio VIII, come Dante Alighieri, che considerò l’irriverenza come rivolta a Cristo stesso. L’episodio fu cantato da Dante nella sua Divina Commedia: Purgatorio, XX, 85-90:
 
“ Perché men paia il mal futuro e ‘l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un’altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l’aceto e ‘l fele
e tra vivi ladroni esser inciso.”
 
Dante estrinsecò sempre una pesantissima valutazione sia sull’aspetto etico sia sul comportamento politico di Filippo IV, che, per immane dispregio, non menzionò mai nella Commedia con il suo nome, ma esclusivamente con l’interminabile teoria  dei suoi “peccati”. Lo descrisse come “novo Pilato” (Pg. Xx, 91), poiché, come Pilato si lavò le mani della condanna di Cristo, nello stesso modo  Filippo ebbe l’impertinenza di professarsi alieno dall’infamia di Anagni.
 
…Nel 1303, morto Bonifacio VIII, Filippo IV impose il proprio controllo sul Papato e non trovò resistenza nella persona del Papa successore, Benedetto XI, il quale cassò tutte le scomuniche del suo predecessore. Il 2 aprile 1305, nel castello di Vincennes, morì la Regina Giovanna I di Navarra, moglie di Filippo IV ed il Vescovo di Troyes, Guichard, venne ignobilmente tacciato di aver fatto morire la Regina con la stregoneria ed il sortilegio. Morto anche Benedetto XI (viene lecito chiedersi se Bonifacio e Benedetto non siano stati “aiutati” a morire), Filippo IV si adoperò con gran magistero per far eleggere Papa un Francese, l’Arcivescovo di Bordeaux, Bertrand de Got, Clemente V, che, nel 1309, assecondando l’istanza del Tiranno di Francia, trasferì la Santa Sede, ovvero la Curia, ad Avignone. Iniziò così la “Cattività di Babilonia”. Il Pontefice perse gran parte della sua autorità, divenendo uno strumento passivo della Francia, così da esser tratteggiato come “Cappellano del Re di Francia”! Dante Alighieri, nella sua Divina Commedia, in seno ad una celebrazione nel Paradiso Terrestre pregna di allegorie, velatamente descrisse Filippo come “gigante” che “delinque” con la Curia, con patente antifona ai mutui privilegi, di diversa natura, formalizzati tra la Curia del Francese  Clemente V e la Monarchia di Francia ( Pg. XXXIII, 45). Filippo si valse ad ottenere la revoca parziale della Bolla “Unam Sanctam” e l’istituzione di un processo post-mortem a Bonifacio VIII (mai portato a termine). Continuamente costretto a far fronte ad ingenti spese, Filippo IV pensò di rifarsi alterando le monete (Maltote), perseguitando (1306 e 1311) gli Ebrei ed i Lombardi (Mercanti Italiani) ed inglobando illecitamente gran parte dei beni del ricchissimo Ordine dei Templari, di cui era fortemente debitore. Il potentissimo Ordine dei Templari, che aveva precedentemente respinto una domanda di ammissione all’Ordine presentata dal “postulante” Filippo IV Il Bello, fu oggetto di detrazioni, di accuse false e travisate, ovvero di accuse di empietà. Contro questi ultimi, particolarmente, Clemente V, “il Papa non Papa”, fu lo strumento di cui Filippo Il Bello si servì per porli sotto accusa nel 1312 e per poi destituirli dei loro patrimoni nel 1314. Alcuni dei Capi Templari, mendacemente tacciati di stregoneria e di idolatria, furono mandati al patibolo, con il placet di Clemente V, in particolare il Gran Maestro Jacques de Molay, nel 1314. Nella Divina Commedia, Dante Alighieri adombrò Filippo IV come colui il quale introdusse “senza decreto,/…nel tempio le cupide vele” (Pg. XX, 91-93), il quale, vale a dire, anticipando, dolosamente e motu proprio, il decreto apostolico del 1312, unico atto che potesse legalmente sancire (ferma restando la strumentalizzazione di potere) lo scioglimento dell’Ordine dei Templari, ordinò le sevizie ed il massacro di un vastissimo numero di Cavalieri, ovvero l’arresto e la taccia di eresia financo del già citato Gran Maestro Jaques de Molay e la conseguente confisca-depredazione dei beni templari. Lo scandalo che coinvolse le nuore di Filippo IV, detto “ de la tour de Nesle”, tacciate di adulterio, deflagrò nello stesso anno ed incise segnatamente l’epilogo del turpe regno dello stesso Filippo. Gli amanti furono giustiziati. Filippo morì il 29 novembre 1314, nel corso di una battuta di caccia (*08)(secondo alcuni Storici, invece, a causa di una grave malattia sconosciuta) e fu seppellito nella Necropoli Reale della Basilica di Saint-Denis, dov’è conservato tutt’oggi un suo sarcofago. Gli succedette il figlio Luigi X di Francia.
 
(*08)In alcuni versi del “Pd. XIX, 118-120”, Dante riportò l’accusa contro Filippo IV di coniare falsa moneta, vale a dire di far coniare monete d’oro con un titolo più basso di quello dichiarato (mistificatoria istanza derivante dalle cospicue spese sostenute nella guerra contro le Fiandre). Nello stesso contesto Dante riportò la dinamica della morte di Filippo, caricato da “…colpo di cotenna”.
La “cotenna” è la pelle del cinghiale e, per estensione semantica, il cinghiale stesso. Filippo, tuttavia, non ebbe pace neanche da morto, poiché durante la Rivoluzione Francese, ad evidenziare l’odio del suo stesso popolo, alcuni sconosciuti si introdussero in Saint Denis, tempio parigino, i quali si recarono alla tomba che racchiudeva il sarcofago del Sovrano, riesumarono i resti e li scaraventarono con disprezzo in una fossa, chiudendola poi con della calce.
 

“Lì si vedrà il duol che sovra Senna

induce, falseggiando la moneta,
quel che morrà di colpo di cotenna.”
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La Francia durante il Regno di Filippo IV Il Bello
 
« Qui ventum seminabunt et turbinem metent »
Proverbio relazionato ad Osea, Profeta Ebraico (Cap. VII v.7-Libro di Osea)
Osea intende rammentare a chi fa del male, che riceverà in cambio un male maggiore.
 
Filippo Il Bello regnò dal 1285 al 1314, ne consegue che l’anno centrale del suo regno fu il 1300. Come già enunciato, Filippo ereditò un Regno assai prospero, ma, appena salì al trono, la situazione generale iniziò a degenerare. Tale degenerazione subì una catalizzazione proprio a partire dal 1300. L’etica, durante questo periodo, fu caratterizzata da una degradazione globale. Degenerazione dei costumi, adulterio, frode e cattiveria erano molto estesi tra i ceti più elevati della società. Nei ceti meno abbienti, anzi popolari, era comunissimo trovare contraffattori, lestofanti, profittatori, clochard, nomadi, che durante il giorno popolavano le vie urbane, ma che, durante la notte, a Parigi, trovavano ostello nel nascente Astro della Corte dei Miracoli.  “La Cour des Miracles” era il vetusto quartiere circoscritto da « Rue du Caire » e da « Rue Réaumur », oggi Secondo Arrondissement. I lestofanti ed i clochard si impadronirono di questo quartiere ed assunsero il vezzo di nominarne un Monarca. “La Cour” fu definita “des miracles”, poiché le fasulle invalidità e malattie dei clochard, qui, di notte, taumaturgicamente guarivano. In questo luogo di menzogna, di abietti tradimenti, di assassinii e di spergiuri di ogni sorta, ovvero in questo luogo dove l’uomo dimostrò di aver smarrito ogni sentimento morale, in questo luogo i gitani ammaliavano gli “indigeni” con prestigi e sortilegi, tentando, in questo modo, di procacciarsi qualcosa per campare e, sovente, depredando e turlupinando i malcapitati. La Corte dei Miracoli, un posto torvamente arcano, dove si rifugiavano le peggiori risme di manigoldi. La Corte dei Miracoli: un grande melodramma dove collidevano le forze del bene e del male. La pedicazione era divenuta costume diffuso e consolidato, parimenti al meretricio ed all’infedeltà coniugale. Era divenuta una prassi ormai conclamata, ovvero una consuetudine, la realtà che Dignitari di Corte, uomini e/o donne, a qualsiasi livello, avessero amanti. I legami matrimoniali rientravano nella logica delle questioni di Stato e, per quanto riguarda l’amore ed il sesso, ci si poteva indirizzare altrove. Le Donne di Corte non erano inferiori, in questo, ai loro consorti. Le Dame, invero, giungevano a farsi formalmente vanto delle loro tresche erotiche. Anche il Clero, in compagnia della Classe dei Mercanti, svolgeva un ruolo notevole in questo senso. Nel 1301 apparve una cometa, contemplata come foriera di terribili sventure. Nel 1313 un’immane carestia flagellò la Francia. Nel 1314, anno della soppressione dell’Ordine dei Templari e della morte sulla pira del loro Gran Maestro Jacques de Molay, esplosero gravissime pandemie di dissenteria. Le campagne si svuotarono delle loro popolazioni e si gremirono di arbusti, rovi, ovvero divennero selvaggiamente brulle ed incolte. Altresì si disseminarono di carogne di animali morti. Le strade rurali, ancor più di quelle urbane, erano divenute insicure e vi regnava la violenza, ovvero gli istinti selvaggi vi lasciavano adito a rapina e sangue. Iniziò la peste, la quale raggiunse il parossismo nel 1320-1321. Di ciò vennero accusati gli Ebrei ed i lebbrosi, molti dei quali arsi vivi. Il 1314 si concluse, 29 novembre, con la morte dell’abietto tiranno: Filippo IV Il Bello, proprio poco dopo la morte di Nogaret e di Clemente V. Il 1315 iniziò con piogge torrenziali e tempeste, talmente cospicue che i più pensarono ad un imminente Diluvio Universale. La carestia si accentuò e si arrivò persino a casi di antropofagia. Nel 1316 morì il primo dei figli di Filippo IV, Luigi X, dopo soli due anni di regno. Il breve regno di Luigi X non fu particolarmente degno di nota. Questo esiguo periodo fu contrassegnato dall’incessante agone tra le fazioni nobili. Tutto lasciò e lascia pensare al verificarsi del vaticinio proferito sul rogo dal morente Gran Maestro Jacques de Molay, il quale profetizzò che poco dopo la sua morte sia Filippo sia i suoi discendenti lo avrebbero seguito nella tomba:
ET FACTUM EST!!!
Come già enunciato, la Francia, in questo periodo, si era trasformata in una « Sodoma e Gomorra » ! Volendo assumere come incontrovertibile postulato il motto latino “Caput imperare, non pedes!” (E’la testa a comandare, non i piedi), va ricercato in Filippo IV Il Bello il maggiore, se non l’unico responsabile di questa dolorosa e travagliata fase storica, nonché delle sue conseguenze. Secondo La Bibbia, Dio distrusse Sodoma e Gomorra a causa della corruzione dei costumi delle loro popolazioni (Genesi-19). “Sodoma e Gomorra” è divenuta un’espressione il cui significato allegorico è: “sodomia, omosessualità, corruzione, decadimento morale ed umano.” Proprio ciò che occorse nella Francia “Filippina”. Fu proprio un Poeta Francese nel XIX secolo, Alfred de Vigny, nella poesia “La colère de Samson”, a darne una parziale definizione: “ La Femme aura Gomorrhe/ et l’Homme aura Sodome” (La donna avrà Gomorra *lesbismo* e l’uomo avrà Sodoma *pedicazione*). Filippo IV Il Bello, verosimilmente, aveva commesso un grande errore: Si era rinchiuso nella sua “Turris Eburnea”, ovvero nel “Misoneismo”! Misoneismo intriso di vanità, presunzione, orgoglio, egoismo, a tal punto da non comprendere che stava sfidando e profanando “Il Sacro” e “L’Intangibile”, ovvero “Il Vicario di Cristo in Terra” ed “I Drudi del Santo Sepolcro in Terra Santa”!
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Templari
 
I Templari (alle origini vi fu un piccolo gruppo di Cavalieri in quel di Gerusalemme “1118”), furono Cavalieri dell’Ordine Religioso-Militare del Tempio, ufficialmente istituito da Ugo Di Payns nel 1119, a Gerusalemme, con l’obiettivo di presidiare i Luoghi Santi e di assicurare l’incolumità dei Fedeli Cristiani che si recavano in pellegrinaggio al Santo Sepolcro, conquistato dai Crociati. Come Ordine Religioso-Militare, i Templari fusero gli ideali di cavalleria e di spiritualità monastica. Il nome origina da Christi Militia, trasformato in  Militia Templi o Fratres Militiate Templi, a posteriori del trasferimento nel Palazzo Reale di Gerusalemme, presso il Tempio di Salomone. I Membri dell’Ordine accettavano i voti di obbedienza, di castità e di povertà e venivano distinti in: Cavalieri, Sacerdoti-Cappellani, Scudieri-Inservienti. I Templari rispettavano una condotta di vita giusta una regola propria, redatta nel 1128 (in questo stesso anno l’Ordine fu riconosciuto da Onorio III) sul modello di quella dei Monaci Cistercensi, fatta ratificare da S. Bernardo di Clairvaux al Concilio di Troyes. A capo dell’Ordine, che nel 1139 fu sottoposto a diretto controllo papale, vi era un Gran Maestro, elettivo. L’insegna dei Templari era una croce rossa su veste bianca per i Cavalieri, su veste nera per gli altri. L’Ordine era organizzato in province (tre orientali e sette occidentali) e costituiva una sorta di Stato sovrano senza territorio, ma ricco di beni sparsi, destinato istituzionalmente a raccogliere e a veicolare in direzione della Terra Santa, uomini e denaro. I Templari, diretta espressione del movimento crociato, assiduamente ed indefessamente impegnati nelle guerre contro i Musulmani, ebbero particolare rilievo nelle battaglie di Acri (1189), Gaza (1244), Al-Mansura (1250). Propagatisi in numero, molto rapidamente, sull’intero continente europeo, a motivo della loro potenza e della loro ricchezza ed avendo un ruolo topico nelle transazioni commerciali con l’Oriente (si erano stabiliti  a Cipro dopo la caduta di S. Giovanni d’Acri, ultimo baluardo crociato in Terrasanta) suscitarono ben presto l’invidia e la gelosia di molti nefandi ed inetti Sovrani. L’avido Re di Francia, Filippo IV Il Bello, bramoso di depredare le ricchezze dei Templari, tacciandoli falsamente di blasfemia ed altro, fece abolire l’Ordine dal suo abietto “Pupo”, il Papa Francese Clemente V (Concilio di Viennes, 1312). Filippo IV avocò a sé (il processo si protrasse dal 1307 al 1314) tutti i patrimoni dei Templari e martirizzò gli appartenenti all’Ordine con atroci sevizie e condanne alla pira. Tra questi ultimi il Gran Maestro, l’ultimo, Jacques de Molay (Molay 1243-Parigi 1314). Quando de Molay fu eletto, sull’Ordine aleggiava già, nefastamente, lo spettro della repressione e della soppressione. Filippo Il Bello, tramite Clemente V, lo chiamò a Parigi e lo fece proditoriamente arrestare con l’accusa di idolatria. Con lo stratagemma di voler dibattere l’unificazione dell’Ordine del Tempio con quello dei Cavalieri Ospitalieri, disegno ricusato da ambo gli Ordini, Papa Clemente V invitò il Gran Maestro Templare, Jacques de Molay, dalla protetta dimora di Cipro, a Parigi. Venerdi 13 ottobre 1307, Filippo di Francia fece arrestare Jacques de Molay e tutto il suo entourage, che comprendeva il  cerchio interno dell’Ordine Templare. Contestualmente, con un’operazione a sorpresa, allestita minuziosamente, Filippo si valse ad imprigionare la maggior parte dei Templari residenti sul suolo francese. L’addebito, “…eccessivamente spaventoso da parafrasare. Delitti abominevoli, turpitudini aborrevoli, efferatezze blasfeme, etc…”, è di “aver arrecato a Cristo vilipendi più turpi di quelli patiti sul Calvario”. La dichiarazione di eresia fu pronunciata dal Responsabile dell’Inquisizione di Francia, Guillaume de Paris, in ottemperanza all’ordine di Clemente V, il Papa eletto con il subdolo patrocinio di Filippo IV Capeto. I giudici ottennero le confessioni mediante tortura, confessioni che servirono Filippo IV per realizzare i propri progetti. Prima dell’esecuzione della condanna a morte, de Molay riuscì a protestare la sua innocenza al cospetto di tre cardinali, tuttavia Il Capeto fu irreversibile sulla sua decisione. Così l’ultimo Gran Maestro Templare morì sul rogo: era il 18 marzo 1314.
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“Omnia mea mecum porto”
 
Si tratta di un aforisma latino che Cicerone (Paradoxa 1,1,8) ascrive ad uno dei “Sette Savi”, ovvero a Biante di Piene (VI Secolo A.C.). Letteralmente sta a significare: “Tutte le mie cose le porto con me” o, per estensione: “Ogni cosa che in me c’è di buono, la porto con me!” o, ancora: “La vera ricchezza è quella dello spirito”. L’aforisma è stato ascritto pure al dialettico megarico Stilpone (Maestro di Zenone di Cizio, con cospicua incidenza sull’indirizzo stoico), il quale, allorché Demetrio il Poliorcete, conquistando Megara, gli chiese se avesse dimenticato qualcosa, replicò: “Niente! Tutte le mie cose le ho con me!” (Seneca: Epistulae Morales, 9 18-19). Ed ancora, la paternità della frase viene attribuita anche a San Paolo il quale, ascrivendole una semantica aulicamente etica, enuncia che la santità si edifica sulle esperienze mondane che ciascuno reca seco. Allegoricamente, la semantica dell’aforisma può essere parafrasata in questo modo: “Le sole cose che invero ci appartengono sono: la nostra dignità e la nostra intelligenza.” Questi due valori sono verosimilmente tra i più topici di quelli che un essere umano possiede. Sono i valori inconfutabilmente ed inderogabilmente necessari per condurre un’esistenza all’insegna della giustizia e dell’onestà, sia nei confronti del prossimo sia nei confronti di sé stessi. Perché parafrasare questo aforisma? Perché “Filippo IV Il Bello”, di “Bello” verosimilmente aveva soltanto il sembiante esteriore, ma, anagogicamente, era l’ipostasi della più esatta antitesi dell’inclito aforisma.
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Published on e-Stories.org on 07/06/2011.

 
 

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