Era il 1970. Time Magazine le dedicava una delle sue copertine più azzeccate. Era una parola che suonava nuova alla maggior parte di noi umani. Anche se in realtà pare che il primo a utilizzarla sia stato uno scienziato alla fine dell’ 800.
E-c-o-l-o-g-i-a. La scienza che aveva il compito di studiare le interazioni tra uomo, animali, vegetali e ambiente. Salutata con grandi speranze dai primi vagiti ambientalisti, guardata con diffidenza e ostilità da tutte le economie dell’Occidente che giravano allora a pieno regime, accolta con indifferenza mista a fastidio soprattutto da coloro che sgomitavano per farsi largo nelle società affluenti del pianeta, l’Ecologia era una delle prime scienze nuove del dopoguerra. Quando cominciavano a muovere i primi passi discipline che avrebbero contribuito a modificare radicalmente – insieme al nostro immaginario – il nostro ambiente, le nostre abitudini, le nostre vite. E non sempre e solo per il meglio.
In quegli anni di formazione tanti erano gli stimoli e le sollecitazioni a cui noi teen eravamo sottoposti, che per la maggior parte del tempo da svegli – ma per buona parte anche del sonno – eravamo tutti presi ad agguantare solo ciò che di meglio sembrava offrirci la vita, trascurando, dove possibile, gli aspetti meno esaltanti. Perfino la minacciosa crisi dei missili di Cuba in fondo ci vedeva sorridere, fiduciosi che alla fine tutto si sarebbe concluso per il meglio. E anche la guerra del Vietnam, che pure offendeva i nostri ideali e feriva i nostri sentimenti, era tutto sommato un rumore lontano.
La vita allora non smetteva un istante di sorriderci. E anche se di soldi in tasca ne ballavano pochi – esclusi pochi privilegiati – ogni mattina il futuro ci accoglieva strizzandoci l’occhio. A volte tutti e due. E quel bicchiere, che ieri ho distrutto in uno scatto d’ ira ( o di saggezza, chissà!), non solo si mostrava ogni volta mezzo pieno, ma spesso tracimava. E noi stavamo lì, euforici, a guardare. Convinti che l’abbondanza era dietro l’angolo. Il tanto desiderato benessere a portata di mano. E noi eravamo pronti ad afferrarlo, camminando senza mai voltarci indietro, al passo dell’anatra come Chuck Berry.
In questo procedere sciolto e spensierato, e un po’ sconsiderato, mi aveva colpito in modo particolare questa copertina di Time Magazine, il settimanale che mi serviva per fare un po’ di pratica in inglese. Tutto preso dal promettente futuro e contagiato fino al midollo dal clima di euforia collettiva in cui erano avvolti quegli anni “favolosi”, non mi ero mai chiesto se il vorticoso progresso tecnologico che ci accompagnava promettendo benessere per tutti avrebbe potuto riservarci qualche sorpresa. Portare con sè qualche inaspettato effetto collaterale. A dire il vero, non sapevo nemmeno cosa significasse questa frase, con la quale avremmo dovuto fare i conti negli anni a venire. Chi poteva immaginare allora che questo inarrestabile vento al quale ognuno di noi si abbandonava non avrebbe soffiato in eterno. E che tutto ciò che portava con sè non sarebbe stato gratis.
In questo clima, difficile da comprendere fino in fondo da chi non l’ha vissuto, l’Ecologia arrivava puntuale a ricordarci, o meglio a rivelarci, la faccia nascosta di quel mitizzato progresso tecnologico che tanta parte aveva nelle nostre esistenze. Come se non fosse bastato il secondo principio della termodinamica, già di per sè poco rassicurante, questa scienza veniva ad ammonirci che la violenza esercitata sull’ambiente da un procedere così sconsiderato presto o tardi si sarebbe trasformata in danno irreversibile. Che prima o poi la natura ci avrebbe presentato il conto.
Quel mare che appariva ai nostri occhi così puro e incontaminabile, talmente grande e profondo da poter accogliere e metabolizzare ogni umana nefandezza, in realtà era come noi mortale. Ma noi eravamo troppo impegnati e assenti per fermarci sulla spiaggia a riflettere sulle sue ferite. Tutti presi a strafarci di benessere, non riuscivamo a comprendere la necessità di rinunciare a qualcosa in quel momento per non dovere un giorno rinunciare a tutto.
Oggi sembra tardi per recriminare. Pare che abbiamo superato il punto di non ritorno. Non ci resta che rimpiangere ciò che è andato perduto per sempre. A volte, in un istante di senile sconforto, mi viene da parafrasare con amarezza le parole del poeta che una volta mi suonavano così dolciastre e d’altri tempi:
“Biofisica, Cibernetica, Informatica…strani rumori
ah perché non son io co’ miei pastori.”
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Published on e-Stories.org on 01/03/2019.
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